Questa domanda mi viene posta con crescente insistenza da amici e parenti, da chi legge i miei interventi sulla Tanzanìa (1, 2, 3, 4), da chiunque sappia che ho trascorso molti anni in quel paese a controllare epidemie vere (come specialista in Malattie Infettive e in Sanità Pubblica nonché come Esperto del Min. Affari Esteri), e che continuo a recarmici più volte all’anno.
Mantengo rapporti di collaborazione e amicizia con personale sanitario ad ogni livello: dai vertici nazionali ai più sperduti dispensari, perciò conosco bene la situazione e confesso che, quando qualcuno ha messo in dubbio la mia parola sul fatto che la Tanzanìa fosse Covid-free, non ho ritenuto valesse la pena badarci… però alla fine la caparbia e ragionata insistenza di una cara amica, giornalista sopraffina, mi ha convinto che dovevo scrivere qualcosa al riguardo.
Così ho pensato di far parlare qualcuno dei tanti protagonisti, condensando al massimo le informazioni raccolte nel corso delle nostre lunghe chiacchierate. Premetto solo che la Tanzanìa ha 60 milioni di abitanti, come l’Italia; Dar es Salaam ne conta circa 5 milioni. Questa figura mostra i luoghi menzionati nell’articolo.
Joseph Temba. Ora in pensione, è stato il mio Regional Medical Officer a Dodoma negli anni ’80. Poi, nel primo decennio del 2000, Executive Director di TACAIDS, l’agenzia intergovernativa per l’AIDS presso la quale io sono stato rappresentante delle ONG internazionali.
Nel nostro primo incontro, Joseph mi ha rivelato un retroscena che ignoravo, e che mi pare utile a chiarire il contesto:
“All’inizio il presidente Magufuli si trovò spiazzato di fronte all’ondata di terrorismo mediatico che aveva sommerso la Tanzania, come tutto il resto d’Africa e del mondo (con scuole chiuse, bollettini quotidiani, pressioni per inattuabili distanziamenti sociali, etc. etc.). Poi, il 26 di Aprile morì di infarto il District Commissioner di Mtwara e il Regional Commissioner comunicò ai media che la famiglia aveva accettato le disposizioni del Governo in base alle quali al funerale avrebbero partecipato non più di dieci persone”…
Mi pare opportuno precisare che per un africano è una maledizione non partecipare al funerale anche solo di una persona che fu vicina di casa anni addietro.
…”A quel punto il presidente prese in pugno la situazione con un perentorio richiamo alle tradizioni e alla fiducia nella protezione divina. Nei giorni successivi ogni funerale fu più affollato che mai, e ciò ebbe un effetto catartico sull’intera nazione”.
Dopo quel segnale di rompere le righe, il presidente si recò nelle principali chiese e moschee per ribadire la sua linea, e lodò a più riprese il ricorso ai medicamenti tradizionali, come l’infuso di limone e ginger. Intanto indagava personalmente sull’affidabilità dei test per Covid-19, tese un tranello al laboratorio centrale nazionale (controllato dall’OMS) inviando campioni di finti pazienti che invece erano succo di papaia, sangue di capra, olio per motori, e altro ancora (5). I clamorosi risultati “positivi” misero alla berlina i vertici nazionali e internazionali e permisero a Magufuli di licenziare alcuni alti funzionari e istituire una commissione speciale presieduta dal professor Eligius Lyamuya (vedi sotto). Da allora le informazioni vengono diramate col contagocce solo da pochi soggetti governativi, e ai media è proibito diffondere notizie “allarmanti”. L’8 giugno Magufuli dichiarò che la Tanzanìa è Covid-free, ordinò la riapertura delle scuole e il ritorno alla normalità in ogni settore.
Dar es Salaam, il popolare mercato di Kariakoo, agosto 2020
Eligius Lyamuya, direttore del Dipartimento Di Microbiologia e Immunologia, MUHAS Dar es Salaam (il più importante ospedale universitario nazionale). Abbiamo lavorato a stretto contatto dal 2001 al 2008 in un grande programma per il controllo dell’AIDS, supportato da tre entità padovane: ULSS 6, CUAMM-Medici con l’Africa, Caritas S. Antonio.
L.S. Caro Eligius, abbiamo già discusso altre volte sulla peculiarità tanzaniana nei riguardi della pandemia e non intendo sollecitarti oltre su questo punto.
E.L. Mi risponde con un sorriso compiaciuto. Eligius è abbottonatissimo, anche con me, sui risvolti politici della vicenda; lui si limita a parlare di aspetti tecnici.
L.S. Le vostre linee guida assegnano netta priorità ai criteri clinici e riservano i test specifici a pochi centri nazionali di riferimento. E’ cambiato qualcosa dalla mia ultima visita?.
E.L. Solo dettagli, per situazioni particolari.
L.S. Come procedete coi test?.
E.L. Quasi due terzi di tutti i test vengono fatti agli aeroporti, porti e posti di frontiera, in ossequio alle obbligazioni internazionali. Raramente troviamo pazienti con temperatura, e ancor più raramente il loro tampone risulta positivo. Se positivi ma asintomatici vengono posti in quarantena fiduciaria.
L.S. E il rimanente terzo?.
E.L. Cittadini che si rivolgono a strutture pubbliche o private, presentando sintomi simil-influenzali. Di questi, ben pochi risultano positivi, e una minima frazione viene ospedalizzata.
L.S. E quanti sono, in termini assoluti?.
E.L. Circa 600 ricoveri da Marzo a Novembre, con 24 morti, quasi tutti anziani con gravi patologie associate.
L.S. Questi sono i dati nazionali, o sbaglio?.
E.L. Non sbagli.
L.S. Il mio pensiero vola immediatamente alla mail che Eligius mi aveva mandato a fine marzo, esterrefatto nel vedere Conte che piangeva (6) per le bare di Bergamo (in realtà la foto era di Bolsonaro, e le bare erano quelle di Lampedusa, ma rende l’idea di come lo sciacallaggio mediatico imperversasse anche in Tanzanìa). Gli dico: Da febbraio ad aprile i media avevano rinfocolato la panicodemia anche qui, ma da noi sarebbe impensabile zittire il mainstream come ha fatto il vostro presidente.
E.L. Altro lungo sorriso, più eloquente di ogni parola.
L.S. Sto per chiedergli le cifre del Muhimbili, ma una convocazione urgente dal Rettorato lo costringe a sospendere la nostra chiacchierata.
Dar es Salaam, una strada interna di Kariakoo, settembre 2020
Elizabeth Ochola, direttrice del Dipartimento di Medicina Adulti, Aga Khan Hospital di Dar es Salaam (la più prestigiosa struttura privata di tutta la Tanzania). Parlo a lungo con lei per la dimissione del mio amico Josaphat, 53 anni, che era stato ricoverato quattro giorni prima per ittero ostruttivo con screzio pancreatico. Trattato con colangiografia retrograda, decorso regolare. Alla fine le chiedo:
L.S. Gli avete fatto il test per il Coronavirus?.
E.O. Perché?.
L.S. Ti rammento che io vivo in Italia… (ma non riesco a nascondere l’imbarazzo).
E.O. In Italia l’avreste fatto?.
L.S. Saremmo stati obbligati a farlo prima ancora di ricoverarlo. Ma il discorso ci porterebbe lontano e non voglio tediarti con i problemi nostri… Quanti pazienti Covid-19 avete in questo momento?.
E.O. Nessuno. Ne abbiamo avuti diciassette in tutto: uno morto per insufficienza renale, 56 anni, grave diabetico.
Charles Rugumao, medico al TMJ (ospedale privato) di Dar es Salaam. Charles mi ha messo qualche punto di sutura al polpaccio un anno fa, per un taglio provocato dall’ancora di una barca. Dopo i soliti convenevoli vengo al dunque.
L.S. Avete casi di Covid-19 ricoverati in questo momento?
C.R. Uno.
L.S. Quanti letti avete?.
C.R. Trentadue.
L.S. Quanti letti di terapia intensiva?.
C.R. Due, semi-intensiva.
L.S. Il paziente con Covid-19 è in semi-intensiva?.
C.R. Sì, ma solo per un migliore isolamento suo e del personale. Lo dimettiamo domani.
L.S. Da inizio anno, quanti pazienti avete avuto con Covid-19?.
C.R. Difficile dirlo per il periodo febbraio-maggio…
L.S. Più o meno di cento?.
C.R. Ah, no, meno di venti!.
L.S. E da giugno in qua?.
C.R. Una decina, in lieve aumento da ottobre…
L.S. Come gestite questi pazienti?.
C.R. Ci basiamo sulla clinica: febbre, sintomi respiratori, quadro radiologico o ecografico di polmonite a vetro smerigliato… qualche volta TAC.
L.S. Fate test specifici?.
C.R. Inviamo i tamponi e il siero al laboratorio di riferimento di Mabibo (gestito dal NIMR-National Institure for Medical Research – nota mia) e riceviamo risposta entro 1-2 giorni.
L.S. E nel frattempo?.
C.R. Iniziamo subito il trattamento, e quasi mai il risultato dei test, anche se negativo, ci fa cambiare approccio. Oltre agli esami che ho già menzionato, ci orientiamo anche con la linfopenia, associata o meno a leucocitosi, e con elevati indici di flogosi.
L.S. E come li trattate?.
C.R. Cortisone, Azitromicina, Eparina, oltre al trattamento specifico per le eventuali patologie soggiacenti…
L.S. Ossigeno a pressione positiva?
C.R. Lo facevamo i primi mesi, ora raramente.
L.S. Se Charles fosse uno dei tanti medici che abbiamo svezzato nei decenni scorsi, sarei fiero di lui… Poi mi rabbuio pensando che in Italia non abbiamo ancora uno straccio di linee guida (7).
Quanti pazienti Covid-19 sono morti?
C.R. Tre, tutti già gravemente malati, due anche molto anziani.
X.Y. preferisce mantenere l’anonimato per una questione di forma più che di sostanza. Lavora presso l’ospedale di Njombe, ma fa consulenze e lezioni in un raggio molto ampio.
L.S. A Njombe fate test di laboratorio per Covid-19?.
X.Y. Solo i tamponi, che mandiamo a Dar es Salaam.
L.S. E quanti giorni ci vogliono?.
X.Y. Di solito davano il risultato entro due giorni, ma da un po’ di tempo sforano anche i tre giorni, e per chi ha un volo che richiede il tampone, questo è un problema.
L.S. Già. Ma a parte la burocrazia, come va sul versante clinico?.
X.Y. Casi ne abbiamo visti molto pochi, da qualche mese in qua. Clinicamente qualcuno poteva starci, ma poi i tamponi sono risultati negativi. Qualcuno mormora che non diano volutamente risultati positivi, mah… Purtroppo non abbiamo altri modi per verificare.
L.S. In Italia invece certifichiamo “Covid-19” anche le persone morte sotto un treno.
X.Y. Non riesco mai a capire quando voi bianchi scherzate e quando dite sul serio…
L.S. Meglio così, credimi! Ma alla fine si sa se ci sono più morti del solito con distress respiratorio, no?
X.Y. Certo, infatti non abbiamo morti in più riferibili a questi problemi, né a Njombe, né a Iringa, Mbeya, Songea.
Lusekelo Mwambebule, compagno di tante conquiste ai tempi eroici dell’AIDS, ora direttore del laboratorio di Singida.
L.S. Tu esegui i test antigenici o sierologici nel tuo laboratorio?.
L.M. Facciamo i prelievi e li mandiamo a Mwanza, quei pochi che ci vengono richiesti.
L.S. Pochi quanto?
L.M. Uno-due per settimana. Nessuno crede ai tamponi dopo che il presidente ha sbugiardato quelli dell’OMS.
L.S. Ti credo. Mi hai procurato i dati delle polmoniti, come ti avevo chiesto?.
L.M. Sì, ecco qua: da Gennaio al 30 settembre. Nessun aumento rispetto agli anni precedenti, e nessuna variazione significativa nella distribuzione fra bambini piccoli, pazienti molto anziani o con gravi malattie associate, adulti senza altre patologie
L.S. Hai chiesto ai colleghi di Mwanza, Bukoba, Tabora e Kigoma?
L.M. Sì, per Tabora avrò dati precisi la prossima settimana. Comunque tutti mi hanno già anticipato che non ci sono scostamenti significativi rispetto agli anni precedenti.
Saveria Nguruwe, suora, infermiera, direttrice dell’Health Centre di Kisiju. Con lei 15 anni fa abbiamo avviato la clinica mobile verso le due isole di Kwale e Koma.
L.S. Avete ricevuto i tamponi dal Central Medical Store?
S.N. No, non li abbiamo mai chiesti. Non avrebbe senso fare un tampone che poi resterebbe in frigo almeno due-tre giorni, e poi nel box refrigerante per un viaggio di molte ore. E per che cosa poi? Qua non è mai morto nessuno né di Influenza né di Corona.
L.S. So bene che voi le etichettate tutte come polmoniti.
S.N. Così abbiamo sempre fatto.
L.S. E non avete ricoverato neanche una polmonite, come dire, un po’ diversa dal solito?
S.N. Solo per riguardo alle tue insistenze abbiamo fatto qualche radiografia e qualche ecografia in più agli adulti: tutti dimessi in giornata o dopo uno-due giorni di Amoxicillina.
L.S. So bene che un giornalista professionale la incalzerebbe sul follow-up di quei pazienti, ma mi viene in mente un’altra suora, caposala a Padova, che in tal caso mi risponderebbe con parolacce non ripetibili. In Tanzania nessuno, neppure un amico intimo, userebbe mai espressioni volgari, figuriamoci suor Saveria, eppure… ma no, decido di lasciar cadere il discorso.
Patricia Muganda, nata in Togo; a 5 anni emigrata in Ghana e poi negli USA di cui ha assunto la cittadinanza e dove ha conseguito la laurea in sociologia. Da due anni è in Tanzania per fare ricerca socio-sanitaria fra il mezzo milione di rifugiati nei campi profughi del nord-ovest, principalmente da Burundi e RD Congo.
L.S. Sai quali sono le principali cause di morte nei campi profughi che visiti?
P.M. Certo: morti legate al parto (sia madri che neonati), Malaria, polmoniti, violenza….
L.S. Hai notizia di morti attribuite a Coronavirus?.
P.M. Bisogna attendere il rapporto del 2020.
L.S. OK, ma non occorre avere i rapporti ufficiali o essere medici per sapere se quest’anno c’è stato un incremento di morti per polmoniti strane….
P.M. In effetti non ci sono morti strane o in eccesso. I rifugiati parlano di Corona con la stessa connotazione esotica con cui ne parlano i cittadini tanzaniani, e ne parlano al passato. Pensa che io, invece, sono incerta se tornare nel Maryland per Natale, con quelle restrizioni che non mi permetterebbero di incontrare tutti i parenti e gli amici che vorrei, in meno di tre settimane.
L.S. Io ci torno in Italia, dove mia moglie e i miei figli studiano ogni giorno i decreti per scovare il modo di fare Natale assieme fra Padova, Trento e Bolzano… (per amor di patria non le dico che a Bolzano sono in lockdown stretto pur avendo fatto il tampone a 350.000 persone in un solo week-end, e trovate positive meno dell’1%. In quegli stessi giorni lo Spallanzani pubblicava uno studio da cui risulta che uno fra i test rapidi più usati produce fino all’80% di falsi negativi (8)… ma c’è molto da ridire sulla correttezza dello studio fatto dallo Spallanzani: chi controllerà i controllori?… se lo chiedevano già gli antichi romani).
Massimo Serventi, pediatra da quasi quarant’anni in Tanzanìa: un’icona in ogni comunità che ha servito. Ora si trova all’ospedale di Ikonda, ma da molti anni si è stabilito a Dodoma con Sipe, la moglie rwandese. Un figlio medico al KCMC di Moshi, altri in giro per il mondo.
L.S. A Ikonda fate qualche test di laboratorio per Covid-19?.
M.S. No, nessun test. Niente mascherine, nulla di nulla. Morti nella media stagionale.
L.S. Nemmeno con qualche malattia respiratoria in più?.
M.S. No, niente di strano.
L.S. Ridacchio sotto i baffi: quando qualcuno insisterà ancora con me per sapere se davvero la Tanzanìa è benedetta da Dio, o se sono bugiardi, lo dirotterò dal dottor Serventi!
Dar es Salaam, il polare mercato di Kariakoo, dicembre 2020
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[…] Der Ko-Autor Leopoldo Salmaso, der seit 43 Jahren professionelle und freundschaftliche Beziehungen zu tansanischem Gesundheitspersonal auf allen Ebenen unterhält, von der nationalen Führung bis zu den entlegensten Kliniken, interviewte im November 2020 einige von ihnen und hatte die Bestätigung, dass in Tansania «Covid-19» ein ausgesprochen geringes Problem ist, selbst in den überfüllten Städten und Bezirken. Die Interviews wurden am 13. Dezember 2020 auf Italienisch geführt.veröffentlicht. […]
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