Visto come folla in continua agitazione, il mondo appare caotico, incomprensibile e privo di scopo. A osservarlo però più attentamente, focalizzando i singoli casi, appare un’altra realtà: il mondo non è caotico e irrazionale, ma frammentato, composto di un infinito numero di vettori perfettamente razionali e consapevoli, che tracciano i comportamenti e le azioni dei singoli, attraverso cui ognuno persegue un proprio interesse e finalità. Solo che è la somma dei singoli vettori a non avere una direzione comune nello spazio-tempo: l’umanità nel suo insieme si muove ma non va da nessuna parte, non procede, è ferma e statica nel suo divenire, e la spinta al movimento è data dall’espletamento delle necessità biologiche, affettive ed economiche degli individui all’interno di un recinto più o meno esteso, dove lo stimolo dominante rimane tutt’oggi quello più atavico – la fame, e ciò vale per i ricchi come per i poveri. Nella sua evoluzione tecnologica l’umanità non solo non è riuscita a risollevarsi dall’impellenza della fame, ma l’ha resa ancora più bulimica.
La sensazione di immobilità, nonostante l’intensità della circolazione dei corpi, non è un paradosso, ma conseguenza della prevedibilità dei comportamenti dei singoli. Pur essendo relativamente libero di muoversi, spostarsi e ricrearsi, l’essere umano subisce costantemente delle pressioni sociali, per cui è costretto a collocarsi in gruppi e/o categorie sociali di profilo ben definito, contrassegnato da abitudini, costumi, linguaggio e stili di vita omologati. La pandemia e le sue restrizioni hanno dato il colpo finale a ciò che veniva definito “essere umano unico ed irripetibile”, facendo entrare prepotentemente le istanze sociali nella dimensione intima e privata, e sovrapponendo al mascheramento circostanziale, socialmente inteso, un effettivo mascheramento facciale quale nuova acquisizione identitaria, corredata di un nuovo repertorio civico.
In campo di studi multidisciplinari viene spesso usato il concetto di “società complessa”, facendo riferimento alla globalizzazione; la società globale è rappresentata come lo stratificarsi di sempre più variabili e contingenze, centri di potere, competenze, idee, attribuzioni di ruolo; in realtà la complessità del mondo viene generata automaticamente dalla crescita numerica degli attori/fattori in gioco e dalla computazione di dati sempre più variegati ed esorbitanti. La complessità è riflesso di una popolazione sempre più dispendiosa, demograficamente triplicata negli ultimi 70 anni e da poco arrivata al fatidico 8 miliardi, il che fa aumentare – oltre al fabbisogno di risorse e beni di consumo – le relazioni interpersonali e sociali, in una rete sempre più fitta e intricata di interazioni, dove ogni intreccio costituisce un condizionamento, un ulteriore limite allo spazio-libertà del singolo. È evidente come una società più densa numericamente diventi auto-limitante per i suoi componenti, più ostacolata e bloccata nei movimenti, meno dinamica e più soggetta all’inerzia, meno creativa e più lenta nella soluzione dei problemi, ma al contempo più ansiosa, esigente ed energivora nel suo status di sovrappeso e sedentarietà. In tal senso la digitalizzazione dell’economia sarebbe stata la risposta, prima ancora che la concausa, della ridotta dinamicità sociale: ricevere le cose e i servizi al domicilio è più ergonomico e conveniente che alimentare la già problematica circolazione di persone negli spazi comuni.
Questo è il motivo per cui la ricerca di maggiore efficienza assumesse inevitabilmente le modalità di gestione di un allevamento, dove protezione-sicurezza-controllo prendono il posto di libertà-fiducia-responsabilità. Lo stesso esercizio della libertà di autodeterminarsi, di rischiare, di cercare di essere sovrani nel proprio destino diventa faticoso e difficile perché richiede un dispendio di energie psico-mentali, di mezzi e abilità nel contrastare ostacoli e violazioni sempre maggiore. A causa del numero crescente di interazioni, la convivenza sociale diventa sempre più regolamentata, la tecno-burocrazia sempre più articolata e farraginosa, il che impone unificazione e passiva accettazione, e quindi la riduzione del singolo a un’esistenza incasellata e mono-dimensionale, come lo è diventata anche la formazione accademica, sempre più circoscritta e specialistica. Alla così detta società complessa, per esigenze di equilibrio e funzionalità, dovrebbe corrispondere un’umanità sempre più semplificata e anonima.
Oggi la partita dell’individuo si gioca fra una pressione sociale sempre più penetrante e potenziata dalla tecnologia e un residuo di individualismo che si rivolge verso la propria interiorità e verso la possibilità di brevi fughe in mezzo alla natura. Questa era già la tendenza antropologica del periodo antecedente la pandemia, dove comunque la pressione sociale, non ancora così pervasiva, veniva compensata con la simulazione di una iper vitalità: attraverso il culto verso il corpo, lo sport, il giovanilismo, le gratificazioni edonistiche, o attraverso l’esaltazione della sessualità nelle sue varie forme. Nel periodo post pandemico, invece, in cui alla suddetta deriva sono stati aggiunti i trattamenti sanitari di massa come costume, come status symbol sociale, non è escluso che anche la simulazione di vitalità venisse meno. Tuttavia, data l’alta plasmabilità dell’essere umano, bisogna confidare che forse non tutto sia perduto e che si potrebbero attendere delle performance ancora edificanti.
21 Agosto 2022
Zory Petzova