Gli attuali Palestinesi discendono dagli Ebrei che non abbandonarono mai la Terra Promessa e nel 7° secolo furono forzati a convertirsi all’Islam.
Gli attuali Israeliani discendono dai Kazari del mar Caspio che nel secolo 9° furono forzati a convertirsi all’Ebraismo.
di Tariq Ali 1
Questo articolo è la trascrizione da una conferenza tenuta in inglese da Tariq Alì presso la Rothko Chapel
Tradotto in italiano e spagnolo da Leopoldo Salmaso, e pubblicato per la prima volta qui.
“… Al fine di creare un mito per giustificare la formazione dello stato di Israele, i leader sionisti avevano due argomenti:
– che queste sono terre bibliche, storicamente appartenute al popolo ebraico;
– che il centro di queste terre era l’attuale Palestina.
Quindi l’occupazione della Palestina e la creazione di Israele in questo particolare territorio era assolutamente essenziale.
Ora, sapete, molti di noi hanno confutato la loro tesi, e anche loro confutano le nostre, ma… non è questo il punto.
Quello che interessa qui è che uno storico ebreo molto illustre, o dovrei dire uno storico israeliano, perché lui preferisce essere definito storico israeliano, Shlomo Sand dell’Università di Tel Aviv, ha scritto un libro molto interessante che ha scatenato una tempesta. Il suo libro, scritto inizialmente in ebraico, è diventato un best-seller in Israele e ha travolto il paese come un uragano. Ci è voluto un po’ di tempo prima che venisse pubblicato in Occidente, ma alla fine è successo, prima in Francia e poi in Gran Bretagna e negli USA. Ha suscitato un grande dibattito ed è stato molto interessante il fatto che Shlomo Sand ha essenzialmente demolito tutti i miti del sionismo, con molta calma. Ha detto: “Guardate, non dovremmo usare questi miti per giustificare l’esistenza di Israele”.
Israele è qui per restare. Penso che tutti i cittadini di Israele, siano essi ebrei o palestinesi, arabi, cristiani, musulmani, dovrebbero avere gli stessi diritti. E dovremmo bloccare la legge per cui, se sei ebreo, puoi tornare in questa terra. È pazzesco, ha detto, perché dovremmo farlo ancora? Ma per far valere questo argomento Shlomo ha fatto davvero un grande lavoro storico e antropologico concludendo che, contrariamente alla mitologia moderna, dopo la distruzione del tempio [di Gerusalemme] nel 70 d.C., non ci sono state espulsioni di ebrei da quella regione. Egli ha giustamente sottolineato che i romani non avevano l’abitudine di espellere le popolazioni dalle terre che essi conquistavano, perché non erano stupidi, avevano bisogno di coltivatori e di artigiani in quelle terre, visto che quei lavori non li facevano le legioni romane.
Shlomo ha sostenuto non solo che non c’erano espulsioni, ma anche che, in quella stessa epoca, c’erano altre comunità ebraiche che contavano 4 milioni di persone, cioè un numero enorme per quei tempi, in Persia, Egitto, Asia Minore e altrove, persone che erano fuori dalla Palestina e sono rimaste fuori.
Egli ha anche concluso che è del tutto falsa l’idea che la fede ebraica, dopo la scissione del movimento riformatore conosciuto come Cristianesimo, non facesse proselitismo: ne fecero di proselitismo, molte persone si convertirono; alcuni si convertirono spontaneamente, mentre gli ebrei askenaziti, in particolare, discendono dai Kazari che, ai margini del Mar Caspio tra il VII e il X secolo, si convertirono all’ebraismo in massa [per decreto dei loro sovrani -NdT]. Questi sono gli ebrei askenaziti che popolarono l’Europa, e i ghetti d’Europa, e che soffrirono sotto l’Olocausto e tutto il resto.
Queste persone discendono dai Kazari. Loro in particolare, come dice Shlomo, costituivano la maggior parte del movimento sionista, pur non avendo assolutamente alcun legame storico con le terre arabe. Shlomo si è spinto oltre e ha detto: se la Palestina non è l’unica patria ancestrale degli ebrei, che cosa è successo agli ebrei che rimasero là? E qui trova una spiegazione devastante: dice che in larga maggioranza si sono convertiti all’Islam. Si sono convertiti all’Islam, la maggior parte di loro, non tutti, come molti altri popoli in quell’epoca.
Aggiunge che i Palestinesi che abbiamo espulso e oppresso sono i diretti discendenti degli ebrei che un tempo vivevano davvero in questa terra. È un libro notevole, ha creato un enorme dibattito, e il dibattito, dice, non è in Israele. Questo è interessante: la maggior parte degli storici israeliani concordano che la ricostruzione storica di Shlomo è accurata, ma dicono che la loro risposta alla scienza è: “beh, sai, ogni nazione crea la propria mitologia, quindi dov’è il grande problema?”. Anche questo è vero, tra l’altro, ma questa mitologia è molto potente, e molto efficace perché è stata largamente diffusa e opera ancora a pieno regime.
Voglio dire, a nessuno importerebbe la mitologia se tutto fosse stato sistemato e se fosse stato raggiunto un accordo, ma poiché non lo è stato, diventa una forza dirompente. Lo stesso Shlomo Sand non è affatto un radicale. Dice: “io non sono un sionista hardcore ma credo in Israele, però penso che tutti i cittadini dovrebbero avere gli stessi diritti e non si può dire ai palestinesi: “non tornate in terre che vi sono state portate via” e intanto continuare a dire agli ebrei, ovunque si trovino in qualsiasi parte del mondo: “potete tornare quando volete”. E dice che che lui ha scritto il libro proprio per questo : per lottare per l’uguaglianza. E i grandi attacchi al libro sono arrivati dalla Diaspora. Voglio dire che il New York Times ne ha fatto una grande recensione e ha dato origine a un’enorme controversia. In Francia e in Gran Bretagna non ci sono state polemiche, nel complesso si è accettato come vero ciò che sostiene Shlomo: tutti gli storici che hanno recensito il libro concordano che è accurato, sapete, non si può estrometterlo dalla storia, noi accettiamo le sue tesi. Ma la Diaspora era arrabbiata solo per il fatto che fossero state rivelate quelle verità, così Sand ha risposto in modo molto acuto: “Beh, se siete così ansiosi di dire che io ho torto e che quello che scrivo danneggia Israele, perché non mettete i vostri soldi dove avete messo la bocca, lasciate la diaspora e venite a stabilirvi in Israele?
Ha aggiunto: “Se siete così appassionati per Israele, perché non venite a vivere qui? Noi viviamo qui e sappiamo come viviamo”. E ha detto ancora: “Non viviamo bene, né noi né i non ebrei di questa parte del mondo, ed è per questo che ho scritto il mio libro”.
Ora, Shlomo è un tipo molto coraggioso, ma non è l’unico: molti storici israeliani hanno scritto libri di questo tipo, ma hanno avuto qualche impatto sui governanti del mondo o sui governanti di Israele?
Penso che la risposta sia no.
Una cosa interessante che Shlomo Sand cita nel suo libro è una dichiarazione di David ben Gurion, uno dei padri fondatori di Israele, nel 1918, dove ben Gurion scrive: “Sapete, la gente chiede cosa è successo agli ebrei che vivevano in questa regione. Erano fedeli alla terra e per rimanere in questa terra, dice, la maggior parte degli ebrei sono diventati musulmani”. Così lui lo sapeva, e loro lo sapevano, i capi di Israele, che questa mitologia che si stava creando sulla base delle citazioni dell’Antico Testamento era in gran parte mitologia, non basata su alcuna realtà storica.
Ecco quindi un esempio di abuso della storia, un abuso che scatena un dibattito enorme e molto creativo, ma naturalmente i soli dibattiti e i libri, anche se forti e potenti come quello scritto da questo storico israeliano, non influenzano le menti dei politici o dei governanti perché alla fine non governano sulla base dei miti. I miti servono per tenere le persone in riga, essi governano per altri motivi: per mantenersi al potere, per mantenere il controllo della società così com’è, e questo non vale solo per Israele, si applica alla maggior parte dei governanti delle diverse parti del mondo, del mondo di oggi.
…“.
1 Tariq Ali è uno scrittore, giornalista, storico, regista, attivista politico e intellettuale pubblico. E’ membro del comitato editoriale della New Left Review e di Sin Permiso, e contribuisce a The Guardian, CounterPunch e alla London Review of Books. Insegna Filosofia Politica ed Economica all’Exeter College, Oxford.
È autore di diversi libri, tra cui ‘Pakistan: regime militare o potere al popolo (1970); ‘Il Pakistan può sopravvivere? Morte di uno Stato’ (1983); ‘Scontro di fondamentalismi: crociate, jihad e modernità’ (2002); ‘Bush a Babilonia’ (2003); ‘Conversazioni con Edward Said’ (2005); ‘Pirati dei Caraibi: Asse della speranza’ (2006); ‘Un banchiere per tutte le stagioni’ (2007); ‘Il duello’ (2008); ‘La sindrome di Obama’ (2010); e ‘Il centro estremo: Un avvertimento’ (2015).