Un altro luogo comune da sfatare è che il conflitto in Ukraina sia espressione di uno scontro di civiltà, dove da un lato abbiamo l’atlantismo democratico-progressista, simboleggiato e difeso dall’Ukraina, mentre dall’altro l’assolutismo euroasiatico conservatore, rappresentato dalla Russia. Per mantenere questa narrazione, il mainstream accademico/mediatico cerca di attribuire ed enfatizzare, e a volte ad inventate, presunte differenze e incompatibilità culturali fra i due schieramenti. Questa contrapposizione, che non è altro che l’ennesimo schema duale applicato su macro-scala, segue la teoria dell’influente politologo americano S. Huntington (The Clash of Civilizations), secondo cui, con la fine della Guerra fredda, gli Stati del mondo sarebbero passati dall’immobilità del bipolarismo politico e ideologico, imperniato sugli Usa e l’Urss, a una situazione molto più dinamica e mutevole, dove i conflitti, caratterizzati da maggiore frequenza e violenza, si sarebbero verificati proprio sulla linea delle divergenze culturali, e dove sarà sempre più la cultura, e non la politica e gli Stati, il luogo dello scontro. Quindi, secondo Huntington, le nazioni occidentali potrebbero perdere il loro predominio sul mondo qualora non fossero in grado di riconoscere la natura inconciliabile di questa tensione.
Da parte nostra, da lettori e testimoni, è doveroso costatare come la teoria di uno dei massimi esperti di Relazioni Internazionali fosse faziosa e poco fondata sulla reale conoscenza dei popoli, e che forse proprio per questo l’unica utilità di tale teoria è dare alibi ai conflitti militari in corso, spiegandoli attraverso l’incompatibilità culturale delle parti in gioco. Quasi tutti i conflitti degli ultimi decenni, apparentemente dovuti a differenze etniche e culturali, sono stati finanziati o strumentalizzati da intelligence ed élite filantropiche ai fini di creare caos, palingenesi forzata, migrazioni indotte che alimentano il traffico di persone, e guerre, generando infine interessi economici per determinati gruppi oligarchici. Nella convivenza storica fra i popoli, le differenze culturali sono state sempre fonte di arricchimento e fertile contaminazione, e non di violenza, a meno di non essere usate come leva per generare diffidenza e ostilità. In un certo senso Huntington, con il suo libro uscito nel 1996, non è stato tanto profetico quanto programmatico, nel senso che, se la gestione delle relazioni internazionali fosse dipesa da lui, avrebbe lavorato per realizzare esattamente il mondo che vi aveva descritto. Il massimo esperto di politica estera, non essendo più in vita, non potrà smentire la propria tesi, ma la storia recente ha dato palesemente più ragione al suo collega e opponente F. Fukuyama, che esordisce agli inizi degli anni 90 con l’emblematica opera “La fine della storia e l’ultimo uomo”, suscitando qualche anno dopo come risposta “Lo scontro delle civiltà” di Huntington.
Il politologo statunitense dal nome giapponese prevedeva che il crollo del Muro di Berlino avrebbe dato l’inizio dell’imporsi di un unico modello politico-economico su scala globale, ossia il modello liberal-democratico occidentale, fondato sui diritti dell’uomo, che avrebbe superato la devianza dei totalitarismi/autoritarismi precedenti e decretato la fine dell’evoluzione della storia, in quanto nulla di nuovo sarebbe immaginabile dopo l’apice di uno sviluppo che si verifica ottimale per tutti gli Stati e individui. Possiamo dire che, effettivamente, nulla sarebbe più auspicabile per i popoli del modello democratico-liberale, ed è ciò verso cui tendono spontaneamente tutti gli individui, solo che l’errore iniziale di Fukuyama è stato di aver sopravaluto la buona fede di governanti ed élite oligarchiche, in quanto questi hanno effettivamente converso verso l’instaurazione di un unico modello di Stato, solo che non quello liberal-democratico, bensì un modello inedito, tendente verso un totalitarismo tecnocratico ibrido, che lo stesso Fukuyama preannuncia nei suoi saggi successivi, ridimensionando l’iniziale entusiasmo. Ciò che comunque caratterizza la visione di Fukuyama è l’ottimismo, che rimane una componente indispensabile anche sullo sfondo di previsioni inquietanti, in quanto il principio guida del saggista è la fede nella razionalità e la capacità di auto-gestione degli individui, che attraverso un capitale sociale rigenerato e cooperante riusciranno a correggere e ricostruire tutte le tendenze distruttive.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, ciò che si verifica fra la Russia e l’Occidente – arricchito delle nuove acquisizioni degli ex paesi di regime, non è uno scontro fra diverse matrici culturali, ma un ripristino della storica unità culturale, nella cui la Russia e l’Europa sono non solo speculari, ma difficilmente separabili nelle reciproche influenze e rivendicazioni culturali. È dall’inizio del modernismo che fra le due entità non esiste alcuna linea di confine culturale, tanto è che diverse fra le più importanti scuole e correnti – come il futurismo, il costruttivismo, il genere fantascientifico nelle sue varie declinazioni, il realismo collettivista, l’arte e la grafica industriali e di propaganda – nascono nella società russa o sovietica, per influenzare quasi simultaneamente quella europea; per non parlare della produzione letteraria e musicale, sia quella classica che quella post rivoluzionaria, che determina i criteri e i modelli più alti di tutta la cultura europea. Il contagio culturale fra Europa e Russia è bidirezionale, in quanto il pionierismo non ha una patria nazionale o geografica ben collocabile, e anche su livello tecno-scientifico russi e occidentali sono perfettamente compatibili, interscambiabili e cooperanti da decenni, uniti nei programmi spaziali, dove sarebbe difficile, anche se auspicabile, trovare qualche sostanziale differenza d’approccio.
Oggi, per mantenere in vita la retorica pompata dello scontro culturale, si gioca la carta della religione, dove alla Russia viene attribuita la rinascita delle tradizioni e dei valori cristiano-ortodossi, in contrapposizione alla mentalità progressista e tecno-scientista dominante nell’Occidente e sbandierata perfino dal Vaticano. Come simbolo del neo-conservatismo religioso russo viene presentato il filosofo Alexander Dugin, battezzato persino come l’ideologo di Putin (un’attribuzione largamente smentita), ma lo stesso fatto che Dugin sia conosciuto molto più in ambienti culturali europei, che in patria, è la prova lampante della faziosità di tale contrapposizione culturale. Oltre ad essere fautore del panslavismo – una bizzarra ideologia nazionalista fondata più su un paganesimo sciamanico che sul cristianesimo ortodosso, Dugin ha una bassa popolarità in Russia, confermata da una percentuale vicina allo zero degli elettori del suo partito. L’ala dell’estrema destra russa, verso cui graviterebbe la sua piattaforma ideologica, è speculare a un qualsiasi movimento di destra radicale di matrice europea. La Russia è un paese con abbondante proliferazione e varietà di movimenti e organizzazioni politiche ed ideologiche, e presentare come sua caratteristica culturale qualcosa che raccoglie una bassissima percentuale di questa varietà è piuttosto fazioso e manipolatorio. Lo stesso Putin, pur apparendo in immagini-status di ritualità religiosa, è un leader alquanto pragmatico e razionale, scevro di ogni ridondanza religioso-escatologica, né più né meno di un qualunque altro governante europeo che rispetta le ricorrenze religiose della propria tradizione nazionale.
Un altro tema su cui è stata investita tantissima propaganda mediatica, ai fini di persuadere l’opinione pubblica sul presunto abisso culturale fra l’Occidente e la Russia, è quello delle libertà sessuali e l’ideologia LGTB, laddove Putin e il governo russo vengono additati come acerrimi nemici dell’omosessualità. Nulla di più falso di questo. Lo stesso Putin ha dovuto specificare più di una volta, non senza un certo imbarazzo, che l’omosessualità è altamente tollerata in Russia, persino nell’esercito, ma ciò che viene vietato è la diffusione dell’ideologia gender e le manifestazioni di gay pride, per non traumatizzare precocemente lo sviluppo sessuale degli adolescenti. Strano che nessun media occidentale abbia mai voluto informare il proprio pubblico sul fatto che la società russa misurasse una percentuale piuttosto alta di omosessualità, e che i più grandi e frequentati club e discoteche per incontri promiscui ed omosessuali sul territorio europeo si trovano proprio a San Pietroburgo. Attribuire poi a una società post comunista bigottaggine e puritanesimo sessuale è piuttosto da ignoranti, visto che il regime sovietico già per sua costituzione non ha mai applicato normative di repressione sessuale, ma è stata proprio la caduta del regime a sdoganare ogni residuo di tabù. Un certo tradizionalismo patriarcale può essere riconosciuto alle popolazioni russe di religione musulmana, ovviamente, ma tali diversità culturali sono strutturali a tutte le società occidentali in quanto multietniche. Quello che desta sospetto è che una problematizzazione piuttosto eccessiva e forzata delle tematiche sessuali e di libertà di genere nell’Occidente possa mirare a creare un maggior contrasto con la società russa, ma tale contrasto non sussiste, se non nel mero esibizionismo di spettacolarizzazione pubblica delle tendenze gender, per cui dovremo chiederci: a chi e a quale scopo serve trarre in inganno la pubblica opinione degli europei?
Anche sul tema del nazionalismo si gioca la stessa finta separazione fra russi e occidentali. Eppure, il conflitto bellico è servito proprio a dimostrare come tutte le società moderne siano uguali, perché nel momento in cui il governo russo ha convocato in servizio i riservisti, fra i cittadini russi si è verificata una vera e propria fuga dal paese, come è accaduto anche in Ukraina, e come sarebbe accaduto in qualsiasi altro paese europeo, al netto della criminale imposizione della legge marziale. In Russia non esiste alcun patriottismo e amore di patria tali da convincere i giovani a sacrificare la propria vita in guerra, perché i valori del passato, quelli del coraggio e la fierezza di difendere la propria nazione, sono stati sostituiti dai valori della cultura consumistica, quella che giustamente desidera un’esistenza pacifica, gratificante e ricca di stimoli edonistici, una cultura cosmopolita investita da comunità virtuali che usano gli stessi social network, ascoltano la stessa musica e ammirano le stesse icone di successo. Quali sarebbero le insormontabili differenze culturali e politiche che secondo Huntington avrebbero dovuto portare allo scontro fra la Russia e l’Occidente? Si tratta solo di propaganda, quando in realtà i motivi dei conflitti sono ben diversi. Per dovere di cronaca, bisogna ricordare che gli Stati Uniti sono stati il primo esempio di passaggio da un esercito di leva a un esercito professionale, dopo le numerose vittime della folle guerra in Vietnam, quando i giovani hanno iniziato a rinunciare dal dover combattere dall’altra parte del mondo per non si sa quale ideale. Oggi le enormi diseguaglianze fra élite e ceti comuni dovrebbe disincentivare ulteriormente il reclutamento militare: gli uomini comuni non sono più disposti a morire per governanti corrotti e privi di qualità etiche. Solo società fortemente fanatizzate su base religiosa o ideologica possono registrare una militarizzazione di leva alta, e uno dei paesi più militarizzati attualmente (oltre l’anomalo caso ucraino di ingegneria sociale) è proprio l’Israele. È Israele il paese in maggior contrasto con la cultura pacifista dei popoli europei, e non la Russia. Il fatto che in Russia l’esercito privato di Wagner si stia sostituendo a quello nazionale di leva è indicativo del crescente astensionismo militare e di un nuovo spirito anarchico che non vuole più assoggettarsi al volere dei governanti.
Proprio per questi motivi i governanti dei paesi egemoni sono sempre più solidali e coordinati fra loro, pur sfidandosi apparentemente in guerra. La guerra è il motivo più formidabile per spostare denaro pubblico verso il settore militare-industriale e il mantenimento degli eserciti professionali, i quali ad occorrenza potranno essere usati contro le popolazioni civili. Il militarismo non può accontentarsi dei nemici esterni, ma necessita anche di nemici interni, perché altrimenti non riuscirebbe ad ammortizzare i crescenti investimenti in nuove e sempre più sofisticate tecnologie. E alla fine, non possiamo non riconoscere l’infallibilità dello sguardo visionario di Fukuyama, solo che bisogna parafrasare la sua logica più crudamente, senza troppi eufemismi concettuali: gli interessi del capitale, l’affarismo, il lobbying corporativo, a prescindere se di natura pubblica o privata, se di mercato o di Stato, se legale o illegale, domina ovunque su scala globale, e nulla è in grado di frapporsi alla marcia del denaro, nessuna politica e nessun diritto. Il corso della storia è accelerato e unidirezionale, similmente a una macchina lanciata in avanti senza le dotazioni di sterzo, freno o retromarcia. Ne è stata una eclatante conferma l’emergenza pandemica, a cui la Cina, la Russia e l’Occidente hanno aderito a pari merito di estremismo e in piena complicità cospirazionista, mentre diversi paesi minori si sono distinti con inaspettato buon senso ed onestà professionale. Al vertice di Bali del G20, il discorso di Lavrov suona uguale a quello degli esponenti occidentali di Davos, con l’attestazione del pieno riconoscimento della sovranità istituzionale dell’OMS, alla quale viene preventivamente affidata ogni futura decisione in materia sanitaria. La principale egida del summit di Bali è la futura politica vaccinale e l’incentivazione di nuovi design di identità digitale. Ma forse pochi sanno che la prima Legge della numerazione degli individui (numerazione sostitutiva del nome) e quindi della digitalizzazione di massa, con la conseguente esclusione sociale dei non omologati, viene progettata in Russia nel 2016 e precede qualsiasi iniziativa programmatica e giuridica europea o statunitense in questa materia, così come il sistema di credito sociale cinese precede largamente quello abbozzato per la società occidentale dall’Agenda 2030.
La Cina e la Russia non sono i nemici dell’Occidente, ma i suoi partner più vitali e la conferma del fatto che le differenze culturali non sono tanto geografiche quanto interne, sono quelle fra i popoli e le loro élite, e che senza la possibilità di controllo dal basso tutti i governi attuali, in particolar modo quelli di vocazione oligarchica e guerrafondaia, sono ugualmente illegali.
13 Marzo 2023
Zory Petzova