Fare analisi sulla guerra abbassa molto le vibrazioni energetiche che la nostra mente emette, ma è anche un dovere epistemologico, visti i devastanti effetti della contro-informazione, a pari merito con quelli della propaganda mainstream, che pratica la stessa scissione e immaturità di approccio, pur di assecondare gli umori da tifoseria filo-russa dei propri followers (“dacci il nostro pane quotidiano di bias di conferma!”), quando invece i lettori vanno educati nella ricerca della complessità: la realtà è qualcosa di troppo intricato e variabile per essere impacchettato in versioni univoche e confortanti, per cui è doveroso decifrarla di volta in volta, tenendo conto della sua contraddittorietà.
La contro-informazione è una corrente di pensiero che non ha una vita propria, ma funziona principalmente per opposizione ai media occidentali, spartendosi con essi il campo giornalistico-informativo della rete. Impostata su una congenita tendenziosità, la contro-informazione cerca di attribuire ogni attuale errore o fallimento economico o strategico del Governo russo alla Nato e agli americani, arrivando a ritroso perfino alle “colpe” di Gorbachov e alle teorie liberiste di Friedman, mentre tende ad attribuire a Putin grandezza storica e geopolitica, perfino di scala escatologica, e si astiene da qualsiasi critica al Cremlino, anche quando la farsa mediatica dei suoi portavoce supera i copioni dei trash-reality televisivi. La contro-informazione è molto potente in primis nella Russia, dove assorbe la propaganda dei media di Stato e viene coltivata da un enorme numero di canali Telegram, russi e occidentali filo-russi. Qualsiasi notizia o accadimento, sfavorevoli all’immagine della Russia, vengono interpretati dai contro-informatori come astuta mimetizzazione del suo vero potenziale che a momenti sarà rivelato, colpendo a morte l’Occidente nemico e i detrattori della leggendaria potenza russa. Secondo un tale loop cognitivo, anche una (più che probabile) sconfitta dell’esercito convenzionale russo non sarebbe che l’occultamento della sua vittoria, che l’Occidente non vorrà riconoscere. Se da una parte è vero che niente può togliere il sentimento filo-russo anche a chi russo non è, d’altra parte è altrettanto vero che in questo momento riconoscere la debolezza del Cremlino e del suo capo è una questione di ordinaria lucidità.
Anche uno degli ultimi fatti di cronaca, quello della fuga del mega oligarca Anatoly Chubais in Israele, è stato interpretato dalla contro-informazione come buon segno per il Cremlino in vista del suo rafforzamento ideologico sovranista, il che sarebbe poi un punto a favore di Putin che da tempo starebbe realizzando l’epurazione dei liberisti avidi e cattivi. Dalla contro-informazione Putin è visto come un socialista sotto copertura, che sta aspettando il momento giusto per diventare Lenin, anche se al mondo non ci è stato un altro leader così ben circondato da oligarchi (chiediamolo pure a Dughin) e così vicino al modello di autocrazia zarista, da lui stesso ripristinato, e poco conta se è stato Putin stesso a tenere come suo braccio destro Chubais per tutti quei anni. Dal secondo uomo del governo Eltsin, intitolato il padre delle privatizzazioni russe e delle nuove politiche di mercato, Chubais rimane la figura di riferimento più importante anche per Putin, il che conferma la continuità fra i due periodi, anche se Putin introduce nel piano di convergenza con l’Occidente la modalità statalista-conservatrice, al posto di quella ultra liberista di Eltzin. Negli ultimi anni, dopo gli incarichi di amministratore di importanti monopoli di Stato, Chubais diventa alto rappresentato del Cremlino per i summit di Bilderberg e quelli per il clima. Dichiaratosi contrario all’Operazione speciale russa, nell’estate 2022 scampa a un misterioso avvelenamento in Sardegna, ma stranamente, da quando è iniziata l’Operazione speciale, in poco più di un anno sono venuti a mancare circa 30 personaggi di spicco fra oligarchi ed alti funzionari, in circostanze di morte non naturale. Fra questi personaggi, alcuni sono definiti filo-occidentali, altri fedeli di Putin, ma spesso “filo-occidentale” e “filo-putin” possono essere sinonimi e non contrari. In altre parole, c’è un assottigliamento del cerchio intorno a Putin, che non credo sia una strategia di Putin stesso in una prospettiva sovranista/socialista, dopo aver ‘rubato’ per decenni il know how liberista dagli amici oligarchi. E magari anche quello finanziario di Nabiulina, che da 10 anni è presidente della Banca centrale russa: figura voluta da Putin, amata dall’Occidente ed elogiata dal WEF, ma potrebbe essere una socialista sotto copertura anche lei.
Appena iniziato il conflitto, prima ancora di poter constatare le anomale dinamiche della strategia russa in Ukraina, analisti seri, conoscitori dell’oscurità russa, anticiparono che la Russia crollerà non per mano della Nato, o dell’Ukraina aiutata dalla Nato, ma per l’insostenibilità della sua impalcatura interna, marcia di burocrazia, corruzione e totale disorganizzazione. Il caso-scandalo dello scontro fra Wagner e il Ministero della Difesa, poco focalizzato dalla contro-informazione, in realtà rivela proprio la crisi profonda del Cremlino. Evgenij Prigozhin, il capo dell’esercito privato Wagner, potrebbe non avere una faccia simpatica, così come potrebbe cercare di apparire un vero patriota in vista alle prossime elezioni politiche, ma ciò che mette allo scoperto è incontestabile, proprio perché scomodo. In sintesi, dalle varie interviste bomba e dichiarazioni trancianti che il leader ha rilasciato, si è avuta la conferma che l’Operazione speciale russa è iniziata contando su un esercito regolare mal addestrato, impreparato, totalmente demoralizzato e disorganizzato. Secondo il leader, sarebbe l’ora di dire la verità (si riferisce ai media di Stato) e smetterla di mentire al popolo russo. Dice che, mentre Wagner prende sul serio le opinioni e le analisi dei propri soldati, nell’esercito russo, al contrario, i superiori trattano i soldati come spazzatura; la città di Bakhmut, dove si è svolta una carneficina per 6 mesi, avrebbe potuto essere presa in poco tempo se Shojgu avesse dato a Wagner le provviste promesse sulla carta; Wagner è stato tagliato fuori dai rifornimenti, ci è stato un vero e proprio sabotaggio che l’ha costretto a ritirarsi (c’è una rendicontazione dettagliatissima delle munizioni e la logistica stabilite e la reale copertura). Secondo Prigozhin, il Ministero della Difesa mente regolarmente sulle realtà in campo di battaglia, non c’è una vera leadership nell’esercito e il comando militare impartisce ordini bizzarri ai suoi uomini; la Russia ha le risorse per vincere sul campo, ma la leadership tiene le risorse inaccessibili con la scusa di risparmiarle per future necessità; gli ufficiali di livello inferiore sono spinti a mentire ai superiori perché altrimenti rischiano i guai, tutti mentono per la paura di essere puniti. (Link)
Il caso Bakhmut e le pesanti accuse del capo di Wagner, rivolte a servizi segreti e i burocrati della Difesa, mostrano non solo l’incapacità dell’apparato russo di risolvere problemi in modo veloce e sistematico, ma anche la grande voragine fra Putin e il Ministero della Difesa, forse segnale di un imminente scontro interno fra i due blocchi del potere. Per i patrioti russi, compresi quelli di Donbass, il vero traditore del popolo russo sarebbe proprio la Difesa, il che non fa di Putin automaticamente un capo socialista in divenire, ma almeno lo assolve da una vergognosa complicità. Un formidabile blogger russo, con una ricca edizione presso The Occidental Observer proseguita poi su Substack.com, con nome in codice Rolo Slavskiy, fa ricordare che Prigozhin si è scagliato contro il Ministero della Difesa russo anche a proposito della guerra in Siria. Pochi sanno che Wagner, finanziato dal potentissimo oligarca Jurij Kovalchuk, vicinissimo a Putin (il così chiamato banchiere personale di Putin), è stata la forza principale che ha salvato Assad in Siria, malgrado il Ministero della Difesa russo abbia cercato anche in quelle circostanze di ostacolarlo nello svolgimento della sua missione. Secondo testimoni siriani, che hanno partecipato alla battaglia di Kesham al fianco dei mercenari russi, i Wagner avevano un sistema terra-aria che rendeva impossibile ogni attacco da parte degli aerei americani, motivo per cui i funzionari di Washington hanno dovuto chiamare la controparte russa, dopo di che il sistema terra-aria russo è stato chiuso, consentendo agli aerei americani di tornare all’attacco. A quei tempi, ricorda il blogger Rolo Slavskiy, tutto il Cremlino, quindi Putin compreso, ha dovuto negare l’esistenza di Wagner, una congiura del silenzio che ora fortunatamente è stata rotta. (Link)
A questo punto ci possiamo chiedere: a cosa serve la Difesa russa, se tradisce sia gli alleati che gli interessi nazionali? La risposta è che la FSB e l’esercito regolare sottostante difendono gli interessi interni dell’establishment, e non certo quelli della nazione, anche perché il concetto di interesse nazionale è piuttosto vago per il russo medio. In ogni nazione, sono i militari il vero baluardo del patriottismo reazionario e dell’idea stessa di nazione, ma l’esercito russo è stato sistematicamente smantellato in era post-sovietica, perché ogni programma ed azione dei ‘nuovi’ governanti si basava sul presupposto che alla fine l’Occidente avrebbe accolto la Russia nel suo club esclusivo, e quindi non c’era il bisogno di un vero esercito, ma bastava atteggiarsi da duri durante i negoziati con la Nato. Avere un esercito forte significa mettere alla guida quadri competenti, incorruttibili e patriottici, ma questo sarebbe stato un pericolo per gli oligarchi al Cremlino. Putin, che doveva controbilanciare i due blocchi del potere, ha selezionato i quadri della Difesa per la loro incapacità, ma alla fine è caduto nella sua propria trappola, accorgendosi che ora l’esercito è incapace di una qualsiasi vittoria e che deve trattare dietro le quinte con Biden per salvare la faccia. Putin sa che la copertura istituzionale consente agli alti funzionari della Difesa di eliminare uomini d’affari, distribuire droga, vendere segreti di Stato all’estero (da intendersi alla Cia) in cambio di garanzie di potere, sa che i generali corrotti possono rubare rifornimenti diretti a Donbass, per mantenere i loro figli e le loro amanti all’estero, ma non può fare nulla se non contare sull’esercito privato di fiducia o sulla minaccia di escalation. Per tutti gli anni dopo il Majdan, Putin ha contato che la situazione in Ukraina si risolvesse con una stretta di mano fra affaristi ed oligarchi russi ed ucraini, i quali avrebbero diramato i conflitti militari in Donbass e portato alla pace. Ai più è noto il suo legame personale con l’oligarca ucraino Viktor Medvedchuk, che avrebbe dovuto influenzare l’ex presidente Poroshenko verso un compromesso, e che è stato arrestato dagli ucraini dopo l’inizio dell’Operazione speciale, liberato grazie alla mediazione di Erdogan e dell’oligarca russo-israeliano Roman Abramovich, in cambio della liberazione di un terzo dei militari di Azov, arrestati a loro volta dai russi nella battaglia di Mariupol. Lo stesso Abramovich ha un ruolo volutamente ambiguo: amico di Putin, dona tutto il ricavato della sua attività calcistica alle vittime della guerra in Ukraina.
Secondo Prigozhin, un tradimento altrettanto grave è anche quello degli oligarchi che continuano a vendere all’Occidente gas e petrolio attraverso l’India e la Turchia, ma questa è un’accusa piuttosto naïf, visto che le casse dello Stato hanno bisogno di essere riempite. Sempre secondo Prigozhin, il paese è gestito da signorie feudali, secondo dei princìpi feudali, da coloro che odiano il popolo russo e letteralmente ridono della morte delle persone comuni sul campo di guerra. La triste verità però, secondo il blogger Rolo Slavskiy, è che le élite russe non hanno mai voluto usare le risorse e le ricchezze del paese, capitale umano compreso, con intenti di civiltà. Hanno solo voluto rubare denaro e poi trasferirsi in Occidente o in Israele, e qualora rimanessero in Russia, usare il denaro per spadroneggiare sul popolo. Ingegnarsi in qualsiasi altra attività diversa dal rubare richiederebbe abilità e talenti di grado più elevato, competenze che potrebbero essere improvvisamente apprezzate dalla società, il che metterebbe in evidenza la mediocrità e la cattiveria degli oligarchi. ( Possiamo aggiungere, però, che lo stesso identico giudizio dovrebbe valere anche per l’Ukraina, con la differenza che in Ukraina ci è stata una efficace campagna di propaganda ultra-nazionalista che ha fatto una forte leva motivazionale sulla popolazione.)
La cosa veramente singolare è che sia i patrioti, che del destino del popolo russo sono profondamente preoccupati, sia i tifosi esaltati e totalmente acritici della contro-informazione, secondo cui “i russi stanno eliminando l’intero esercito ucraino senza nemmeno sporcarsi le mani e la Cina sta sostenendo la Russia e non alza nemmeno il telefono a Biden”, entrambe le correnti, pur stilisticamente molto diverse, hanno qualcosa in comune: non osano a mettere in discussione la figura di Putin. Le gravi disfunzioni non sono mai attribuibili a Putin, lui è colui che cerca solo di risolverle. Strelkov (alias Igor Girkin), esponente principale della piattaforma dei patrioti di Donbass, non nutre particolari simpatie per Prigozhin e vede nella polemica pubblica fra lui e il ministero della Difesa l’inizio della lotta per dopo Putin, ma il problema è che si rifiuta di vedere qualsiasi altra figura al posto di Putin (Link). Nonostante sia evidente che Putin è stanco e che sarebbe naturale che finalmente si ritirasse a dovuto riposo dopo questo mandato, nessuno, nemmeno chi è critico nei confronti di Putin, riesce ad augurarsi la fine della sua carriera. Secondo i patrioti, fra cui anche il blogger Rolo Slavskiy, Putin è l’unica autorità davvero legittimata dal popolo e la sua sparizione significherebbe il crollo della Federazione Russa. Nessuno riesce ad immaginare una Federazione Russa post-Putin, una prospettiva diversamente rappresentata, nonostante il sistema attuale sia in grave crisi. Possiamo dire di essere difronte a un fenomeno di teologia politica, dove le sorti di un paese, e perfino dell’intera umanità – secondo alcuni, si identifica con la figura di un’unica autorità, portatrice di una soluzione escatologica. In un certo senso, sia metaforico che logico, questa sarebbe la vera fine della storia, e non certo quella secondo Fukuyama.
A chi non è coinvolto nelle vicende russo-ucraine, attraverso rassicuranti schemi narrativi, spetta la visione lungimirante della situazione. La storia post-Putin si chiama regionalismo e ci sono dei segnali non equivocabili: è conosciuto il caso dell’ex sindaco di Ekaterinburg, Roizman, che si era dichiarato dalla parte degli ucraini, ma è ambiguo anche il ruolo dei ceceni, fra cui ci sono dei soldati di rango che combattono dalla parte del nemico. Di recente Kadyrov ha accolto dalle file dei volontari filo-ucraini Khusain Dzhambetov (che aveva combattuto per l’ex presidente indipendentista Akhmed Zakayev), forse preoccupato a unire forze e competenze locali per una futura indipendenza. Il leader ceceno non dovrebbe aver digerito bene anche le figuracce della Difesa russa con il ritiro da Kherson; a differenza dall’esercito regolare, sul campo le truppe di “Akhmat Sila” si sono mostrate preparate e non gettate come massa sacrificale contro il nemico. La Russia si frammenterà in singoli Stati, è il naturale processo storico di crisi e crollo degli imperi e dei poteri artificialmente centralizzati. La stessa crisi, anche se per motivi diversi, ma con le stesse tendenze di frammentazione, si ha dall’altra parte dell’Oceano. Nessuno riesce a vedere un post-Biden unificatore degli americani, e Trump, volutamente ostacolato nella corsa alle prossime elezioni, è sempre più stanco di lottare con i poteri invisibili. Gli USA e la Russia sono realtà diverse ma speculari che creano fra loro potentissime interferenze e subiscono gli stessi effetti. È questione di tempo affinché le onde colpissero anche la Cina. Il futuro geopolitico non è nel multipolarismo delle poche mega-potenze come centri d’attrazione gravitazionale, quanto nella frammentazione interna delle loro obsolete strutture e di nuove dinamiche regionali, di nuovi processi migratori e di nuovi Stati virtuosi, probabilmente di dimensioni più piccole. Perché non conterà più il fattore demografico come condizione del potere militare e ideologico, ma la tempestività delle invenzioni tecnologiche e il pionierismo anarchico.
23 Maggio 2023
Zory Petzova