di Rick Sterling,
American Council for Judaism / Issues/ inverno 2023-24
http://acjna.org/acjna/articles_detail.aspx?id=3803
Traduzione di Leopoldo Salmaso
Il presidente John F. Kennedy fu assassinato sessant’anni fa. Se avesse vissuto e vinto un secondo mandato, il conflitto israelo-palestinese sarebbe evoluto diversamente. Forse il percorso verso l’apartheid israeliana e il genocidio a Gazasi sarebbe potuto evitare.
Nel suo breve periodo in carica, Kennedy cambiò in modo significativo la politica estera degli USA. Come documentato nel libro “JFK and the Unspeakable: Why he died and why it still matters” [JFK e l’Innominabile: perché morì e perché importa ancora], JFK si oppose alla CIA e al complesso industriale militare nelle politiche che egli stabilì verso il Terzo Mondo e l’Unione Sovietica. La guerra del Vietnam, il rovesciamento del presidente Sukarno con l’assassinio di centinaia di migliaia di indonesiani, e la continua ostilità contro Cuba e contro l’Unione Sovietica non si sarebbero verificate se Kennedy fosse vissuto e avesse vinto un secondo mandato.
Pur meno conosciute, le politiche di Kennedy sfidarono e si opposero anche alle ambizioni militari e politiche dell’Israele Sionista. A quel tempo, Israele esisteva solo da tredici anni. Era ancora in evoluzione e il percorso non era ancora del tutto tracciato. C’era una significativa determinazione internazionale a trovare soluzioni di compromesso sui profughi palestinesi in seguito alla Nakba del 1948. Quando Israele attaccò l’Egitto e conquistò la penisola del Sinai nel 1956, l’amministrazione Eisenhower pretese che Israele si ritirasse dal territorio conquistato. E Israele obbedì.
Razzismo e discriminazione in Israele
A quel tempo, all’inizio degli anni ’60, eminenti voci ebraiche criticavano il razzismo e la discriminazione del governo israeliano. Israeliani come Martin Buber attaccarono Ben-Gurion notando che: “Nei princìpi dello Stato, alla popolazione araba fu promessa completa uguaglianza con i cittadini ebrei”. Molti influenti israeliani si rendevano conto che la loro sicurezza e il loro benessere a lungo termine dipendevano dalla ricerca di un giusto accordo con la popolazione indigena [[i]] palestinese.
Negli USA la comunità ebraica era divisa e molti erano anti-sionisti. L’American Council for Judaism era influente e anti-nazionalista. Il carattere razzista e militarista di Israele non era ancora scolpito nella pietra. Né lo era Il sostegno degli ebrei statunitensi a Israele. Quando Menachem Begin arrivò negli USA nel 1948 fu denunciato da eminenti leader ebrei, tra cui Albert Einstein. Dissero che Begin, che in seguito divenne primo ministro israeliano, era un “terrorista” che predicava “un miscuglio di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale”. Molti ebrei americani avevano sentimenti contrastanti e non si identificavano con Israele. Altri sostenevano Israele, ma sulla base della pace con i palestinesi indigeni [1].
Ci sono quattro aree chiave in cui la politica di Kennedy fu sostanzialmente diversa da ciò che seguì dopo la sua morte.
1) Kennedy non era pregiudizialmente a favore di Israele
L’amministrazione Kennedy cercò buoni rapporti sia con Israele che con le nazioni arabe. Kennedy mirava ad estendere l’influenza degli USA in tutto il Medio Oriente, anche con le nazioni amiche dell’Unione Sovietica e in contrasto con i partner della NATO.
JFK sostenne personalmente il nazionalismo arabo e africano. Come senatore nel 1957, lui criticò l’amministrazione Eisenhower per aver sostenuto e inviato armi alla Francia nella sua guerra contro il movimento indipendentista algerino. In una relazione di 9.000 parole alla Commissione Esteri del Senato, criticò “l’imperialismo dell’Occidente” ed esortò a sostenere l’indipendenza dell’Algeria. Il presidente algerino Ben Bella, che la Francia aveva tentato di assassinare e che molti nella NATO consideravano troppo radicale, ricevette un enorme e impressionante benvenuto alla Casa Bianca.
Kennedy cambiò i precedenti gelidi rapporti con la Repubblica Araba Unita (Egitto e Siria) guidata da Gamal Abdel Nasser. Per la prima volta, gli USA accordarono loro prestiti. Kennedy scrisse lettere rispettose ai presidenti arabi prima di accogliere a Washington il primo ministro israeliano Ben-Gurion. I leader arabi colsero la differenza e risposero con apprezzamento. Chi pretende dire che con Kennedy non ci fu alcuna differenza ignorano il fatto che l’egiziano Nasser, l’algerino Ben Bella e altri leader nazionalisti annotarono una grande differenza.
Amicizia con tutti i popoli del Medio Oriente
Nel 1960, quando Kennedy era in campagna per la presidenza, parlò alla Convenzione dell’Organizzazione Sionista d’America. Fece commenti lusinghieri su Israele ma espresse anche la necessità di amicizia con tutte le genti del Medio Oriente. Affermò che gli USA dovevano “agire prontamente e con decisione contro qualsiasi nazione del Medio Oriente che attaccasse un suo vicino” e “Il Medio Oriente ha bisogno di acqua, non guerra; trattori, non carri armati; pane, non bombe”.
Kennedy disse francamente ai sionisti: “Non posso credere che Israele desideri davvero rimanere indefinitamente uno stato-guarnigione circondata dalla paura e dall’odio”. Mantenendo l’obiettività e la neutralità sul conflitto arabo-israeliano, Kennedy voleva allontanare i sionisti ebrei dagli impulsi razzisti, militaristi e ultra-nazionalisti che hanno portato al punto in cui siamo oggi.
2) Kennedy voleva che la lobby sionista seguisse le regole
La seconda differenza nella politica di Kennedy riguarda il lobbying dei sionisti pro-Israele. Ai sensi del Foreign Agents Registration Act (FARA), le organizzazioni che promuovono o esercitano pressioni per conto di un governo straniero sono tenute a registrarsi e a render conto delle proprie finanze e delle proprie attività. Sotto il procuratore generale Robert Kennedy, il Dipartimento di Giustizia (DOJ) richiese all’American Zionist Council (AZC) di registrarsi come agente di un paese straniero. AZC è l’organizzazione madre del Consiglio Americano per gli Affari Pubblici Israeliani (AIPAC).
Come documentato dettagliatamente qui, il 21 novembre 1962 il viceprocuratore generale scrisse loro che “la ricezione di tali fondi dalle sezioni americane del L’Agenzia Ebraica per Israele costituisce il Consiglio (AZC) come agente di un paese straniero… si richiede la registrazione del Consiglio”.
L’emergere dell’influenza politica israeliana fu esaminato anche al Senato. Sotto la guida del senatore J. William Fulbright, la commissione per le relazioni estere del Senato tenne udienze nel maggio e nell’agosto 1963. Rivelarono che le donazioni esentasse all’Appello Ebraico Unito, presumibilmente per aiuti umanitari in Israele, venivano reintrodotte negli USA e quel denaro veniva utilizzato per attività di lobbying e di relazioni pubbliche israeliane.
Registrazione come agente straniero
Gli avvocati dell’AZC presero tempo. Il 16 agosto 1963, un analista del Dipartimento di Giustizia (DOJ) esaminò il caso e concluse: “Il Dipartimento dovrebbe insistere per l’immediata registrazione dell’American Zionist Council sotto la Legge sulla Registrazione degli Agenti Starnieri”.
L’11 ottobre il Dipartimento di Giustizia richiese che l’AZC si registrasse, aggiungendo: “il Dipartimento aspetta una risposta da parte vostra entro 72 ore.
Il 17 ottobre, un memorandum del Dipartimento di Giustizia riporta che gli avvocati dell’AZC dichiararono di non essere tenuti a registrarsi come agenti stranieri. Si offrirono di fornire le informazioni finanziarie richieste, ma obiettarono che la registrazione come agente straniero “sarebbe stata pubblicizzata dall’American Council for Judaism al punto che, alla fine, avrebbe distrutto il movimento sionista”. Come indicato in questa discussione, il sionismo politico non era ancora dominante nella comunità ebraica statunitense ed era attivamente osteggiato dall’American Council for Judaism e da altri gruppi ebraici.
3) Kennedy sosteneva i diritti dei palestinesi
Una terza differenza riguarda i diritti dei palestinesi. Anche se aveva solo 44 anni quando divenne presidente, Kennedy aveva più esperienza internazionale che la maggior parte dei presidenti degli USA. Nel 1939 egli trascorse due settimane in Palestina. In una lunga lettera a suo padre, descrisse la situazione e le difficoltà. Scrisse: “La simpatia immediata della gente sembra stare dalla parte degli arabi. Questo non solo perché gli ebrei, o almeno alcuni dei loro leader, hanno un carattere purtroppo arrogante, un atteggiamento intransigente, ma sentono che, dopo tutto, il paese è stato arabo negli ultimi secoli… Difficilmente gli inglesi potevano dar via la Palestina”.
In commenti che sono ancora veri, Kennedy sottolinea come i residenti ebrei erano divisi tra “un gruppo ebraico fortemente ortodosso, non disposto a compromesso alcuno” e un “elemento ebraico liberale, composto dal gruppo più giovane, che ha paura di questi reazionari”. La sua analisi è in sintonia sia con gli ebrei che con gli arabi e affronta la difficile necessità di trovare una soluzione di compromesso.
All’inizio degli anni ’60, il Dipartimento di Stato americano non era bloccato in una partigiana accettazione o approvazione delle politiche israeliane. Gli USA sostenevano la risoluzione 194 delle Nazioni Unite che (al paragrafo 11) dichiara: “ai rifugiati che desiderano ritornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini deve essere consentito di farlo alla prima data possibile; deve essere pagato un risarcimento per la proprietà di coloro che scelgono di non rientrare; la perdita o il danneggiamento di proprietà o beni devono essere corretti dai Governi o autorità responsabili”. Questo è noto come il “diritto al ritorno”.
Discordia tra Washington e Tel Aviv
Il 21 novembre 1963, il giorno prima dell’assassinio di Kennedy, il New York Times presenta due notizie che esemplificano la discordia tra Washington e Tel Aviv. Un rapporto delle Nazioni Unite è intitolato “Israele si dissocia dal gruppo delle Nazioni Unite che sostiene gli USA sui rifugiati arabi”. Inizia così: “Una risoluzione degli USA che richiede di continuare gli sforzi per risolvere la difficile situazione dei rifugiati arabi palestinesi è stata approvata stasera con 83 sì e un solo no espresso da Israele… Il problema è incentrato su una risoluzione del 1948 la cui sezione chiave, il paragrafo 11, riguarda il futuro degli arabi sfollati dalle loro case per il conflitto in Palestina. Essi hanno vissuto nelle terre confinanti con Israele… Il testo rivisto degli USA invita la Commissione di Conciliazione per la Palestina a “continuare i suoi sforzi per l’attuazione del paragrafo 11”.
Il secondo articolo del New York Times si intitola: “U.S. Stand Angers Israele” [la posizione degli USA irrita Israele]. Riferisce da Gerusalemme che “il premier Levi Eshkol ha espresso oggi estremo disgusto per la posizione degli USA nel dibattito sui rifugiati palestinesi… La rabbia di Israele è stata trasmessa “nei termini più forti” all’ambasciatore statunitense… Il governo israeliano è arrabbiato per la risoluzione degli USA davanti al comitato politico delle Nazioni Unite e per le manovre statunitensi sulla questione”.
Israele era arrabbiato e contrario perché l’amministrazione Kennedy stava cercando di risolvere il problema dei rifugiati palestinesi, compreso il diritto al ritorno.
4) Kennedy cercò di fermare il programma israeliano di armi nucleari
Il quarto e più grande conflitto tra Kennedy e la leadership israeliana riguardò il loro sviluppo di armi nucleari. Questo problema fu tenuto così segreto che documenti e lettere cruciali sono stati rilasciati solo negli ultimi anni.
Il presidente Kennedy era un forte sostenitore del blocco alla proliferazione nucleare. Dopo la crisi missilistica di Cuba del 1962, egli si rese conto di quanto fosse facile innescare una guerra nucleare catastrofica, intenzionalmente o accidentalmente. Se si fosse permessa la diffusione di armi nucleari in più paesi, i rischi di una catastrofe globale sarebbero stati assai maggiori. Si prevedeva anche che, se Israele avesse acquisito la capacità di armarsi col nucleare, sarebbe diventato più aggressivo e meno propenso a raggiungere un accordo di compromesso sui profughi palestinesi.
Quando, nel 1962, l’intelligence USA indicò che Israele poteva tentare di costruire un’arma nucleare a Dimona, Kennedy era determinato a scoprire se questo fosse vero, e a fermarlo se vero. Ciò causò un intenso confronto diplomatico tra JFK e Il primo ministro israeliano David Ben-Gurion. La prova di ciò è stata rivelata recentemente con lo scambio di lettere tra il presidente Kennedy, il primo ministro Ben-Gurion e il suo successore Levi Eshkol. Sono tutte etichettate come “Top Secret” o “Solo Visione”.
È importante vedere la sequenza e alcuni dettagli per capire quanto fu intensa questa resa dei conti. Queste comunicazioni risalgono tutte al 1963. (Nota per il lettore: salta alla sezione successiva se ti stanchi dei dettagli qui di seguito).
Israele elude la questione delle ispezioni
A marzo 1963 il Dipartimento di Stato USA incaricò il suo ambasciatore di informare il Governo di Israele (GOI) che per “motivi stringenti” il Governo degli USA richiedeva il consenso del GOI ad effettuare visite semestrali a Dimona, possibilmente a maggio e novembre, da parte di scienziati statunitensi qualificati e con pieno accesso a tutte le parti e gli strumenti in quella struttura”.
Il 19 aprile il Dipartimento di Stato incaricò l’ambasciatore degli USA in Israele di “far pressione” per una “risposta affermativa” alla precedente richiesta di ispezioni semestrali a Dimona.
Il 26 aprile il primo ministro israeliano Ben Gurion rispose al presidente Kennedy. Egli eluse la questione delle ispezioni agli impianti nucleari e invece espresse la sua preoccupazione per un recente proclama da parte di Egitto, Siria e Iraq. Egli paragonò il presidente egiziano Nasser a Hitler.
Il 4 maggio JFK rispose alle preoccupazioni di Ben Gurion e sottolineò l’impegno degli USA verso Israele e verso la pace in Medio Oriente. Kennedy scrisse al leader israeliano di essere molto meno preoccupato per un “prossimo attacco arabo” che per “il successo nello sviluppo di sistemi offensivi avanzati”.
L’8 maggio una Valutazione Speciale dei Servizi di Sicurezza Nazionali concludeva: “Israele intende quanto meno mettersi in condizione di produrre un numero limitato di armi” e “a meno che non siano scoraggiati da pressioni esterne [gli israeliani] tenteranno di produrre un’arma nei prossimi anni”. L’analisi predisse che, se gli israeliani avessero avuto la bomba, ciò li avrebbe “incoraggiati ad essere più audaci nell’impiego delle armi convenzionali, sia diplomatiche che militari, nel loro confronto con gli arabi”.
Il 10 maggio il Dipartimento di Stato americano inviò un telegramma “Solo per gli Occhi dell’Ambasciatore” all’ambasciatore degli USA in Israele. L’ambasciatore fu incaricato di ricordarlo alla leadership israeliana che avevano precedentemente concordato sulle ispezioni semestrali. Il telegramma dice anche che le preoccupazioni israeliane riguardo allo sviluppo arabo di una bomba nucleare “sono
non valide” perché non esiste nulla di paragonabile al “programma israeliano avanzato”.
La lobby israeliana aumenta la tensione
Le tensioni tra l’amministrazione Kennedy e Tel Aviv causarono un’escalation della pressione sulla Casa Bianca da parte della lobby israeliana. Ciò è rivelato in un Memorandum TOP SECRET del Dipartimento di Stato dell’11 maggio riguardante la “Preoccupazione della Casa Bianca per la questione arabo-israeliana”. Inizia così: “Nelle ultime settimane, come sapete, è diventato sempre più chiaro che la Casa Bianca è sottoposta ad una pressione politica interna in costante aumento affinché adotti una politica estera nel Vicino Oriente più consona con i desideri israeliani. Gli israeliani sono determinati a sfruttare il periodo da qui alle elezioni presidenziali del 1964 per garantire una relazione più stretta con gli USA, in particolare attraverso una garanzia di pubblica sicurezza e una relazione più fredda e di maggior contrasto tra gli USA e l’UAR [Repubblica Araba Unita]”.
Questo promemoria molto interessante mostra l’influenza di Israele nella politica statunitense e nelle sue vicende elettorali. Mostra anche lo sforzo di Kennedy per mitigare questa influenza rimanendo fermo sull’obiettivo di fermare la proliferazione nucleare.
Il 12 maggio 1963 Ben Gurion scrisse un’altra lunga lettera al presidente Kennedy. Ancora una volta, eludendo la richiesta degli USA, Ben Gurion fornisce una storia distorta, affermando che i profughi palestinesi avrebbero lasciato la Palestina “per ordine dei leader arabi”. Egli paragona nuovamente Nasser a Hitler e paventa il pericolo di un nuovo Olocausto. Egli scrive: “Sig. Presidente, il mio popolo ha il diritto di esistere… e questa esistenza è in pericolo”.
Il 19 maggio Kennedy rispose a Ben Gurion sottolineando l’importanza che egli attribuiva alla non-proliferazione delle armi nucleari. “Siamo preoccupati per gli effetti di intralcio alla stabilità mondiale che accompagnerebbero lo sviluppo di armamenti nucleari da parte di Israele”. Kennedy sottolinea il “profondo impegno per la sicurezza di Israele”, ma afferma che l’impegno e il sostegno “sarebbero in serio pericolo” se gli USA non fossero in grado di ottenere informazioni affidabili sugli sforzi di Israele in campo nucleare”.
Il 27 maggio Ben Gurion rispose a Kennedy dicendo che il reattore nucleare Dimona “sarà dedicato esclusivamente a scopi pacifici”. Egli si oppone alla richiesta di Kennedy di visite semestrali a partire da giugno, suggerendo visite annuali “come già avvenuto”, a partire dalla fine dell’anno. La condizione posta è significativa perché la precedente “visita” a Dimona era stata limitata nei tempi e nelle aree.
Ispezione dei siti nucleari
Il 15 giugno Kennedy scrisse a Ben Gurion, dopo aver ricevuto una valutazione scientifica sui requisiti minimi per l’ispezione di un sito nucleare. Dopo aver accolto con favore le assicurazioni di Ben Gurion secondo cui Dimona sarebbe stato destinato solo a scopi pacifici, Kennedy lanciò un cortese ultimatum: “Se gli scopi di Israele devono essere palesi al mondo oltre ogni ragionevole dubbio, credo che il calendario più confacente per i nostri obiettivi comuni debba includere una visita all’inizio di questa estate, un’altra visita a giugno 1964, e poi a intervalli semestrali. Kennedy precisa che la “visita” deve includere l’accesso a tutte le aree e “deve essere assegnato tempo sufficiente per un esame approfondito”.
Il 16 giugno [domenica, NdT], l’ambasciata statunitense in Israele riferì che Ben Gurion si era dimesso da primo ministro israeliano. Questa fu una grande sorpresa; la spiegazione ufficiale fu per “motivi personali”. È probabile che Ben-Gurion conoscesse il contenuto della lettera in arrivo da Washington (pervenuta all’ambasciata il giorno prima).
La conseguenza delle sue dimissioni fu di guadagnare tempo. L’ambasciatore statunitense Barbour suggerì di aspettare che il “problema del governo fosse risolto” prima di presentare il quasi-ultimatum di JFK al prossimo Primo Ministro.
Kennedy non attese a lungo. Il 4 luglio scrisse al nuovo primo ministro israeliano Levi Eshkol. Dopo essersi congratulato con Eshkol per essere diventato il nuovo Primo Ministro, egli va dritto al punto “per quanto riguarda le visite statunitensi all’impianto nucleare israeliano di Dimona”. Kennedy dice: “Mi dispiace dover aggiungere ulteriori fardelli subito dopo la sua assunzione dell’incarico, ma…” Prosegue poi chiedendo ispezioni così come sono state richieste nella lettera a Ben-Gurion e scrivendo che “il sostegno a Israele potrebbe essere gravemente compromesso” se ciò non viene fatto.
La sfida di Israele
Il 17 luglio Eshkol scrisse a Kennedy che aveva bisogno di studiare meglio la questione prima di rispondere alla richiesta di visite a Dimona. L’ambasciatore statunitense Barbour aggiunse che Eshkol gli comunicò verbalmente di essere stato “sorpreso” dalla dichiarazione di Kennedy secondo cui l’impegno degli USA nei confronti di Israele poteva essere messo a repentaglio. In segno di sfida, Eshkol disse all’ambasciatore statunitense: “Israele farà quello che deve fare per la sua sicurezza nazionale e per salvaguardare i suoi diritti sovrani”.
Il 19 agosto Eshkol scrisse a Kennedy ribadendo lo “scopo pacifico” di Dimona e ignorando la richiesta di sopralluogo estivo. Propose che l’ispezione avvenisse “verso la fine del 1963”.
Il 26 agosto Kennedy scrisse a Eshkol accettando la visita di fine anno ma sottolineando che era necessario farlo “durante il caricamento del nucleo del reattore e prima che si sviluppino rischi di radiazioni interne”. Kennedy stabilì queste condizioni perché erano essenziali per determinare se la struttura potesse essere utilizzata per lo sviluppo di un’arma nucleare.
Il 16 settembre il Dipartimento di Stato preparò un memorandum di conversazione con un consigliere dell’ambasciata britannica. C’era preoccupazione comune ma accordo sul punto che Dimona dovesse essere ispezionata “prima dell’attivazione del reattore”.
Dopo l’assassinio di JFK il 22 novembre.
Dopo che Lyndon Baines Johnson (LBJ) divenne presidente, la politica degli USA in Medio Oriente cambiò in modo significativo. Fin dall’inizio, LBJ disse a un diplomatico israeliano: “Avete perso un grandissimo amico. Ma ne avete trovato uno migliore”. La testata israeliana Haaretz afferma: “Gli storici in generale considerano Johnson come il presidente più costantemente amichevole verso Israele”. Il rapporto di Washington sugli affari del Medio Oriente scrive: “Lyndon Johnson è stato il primo ad allineare la politica degli USA con le politiche di Israele” e “Fino alla presidenza di Johnson, nessuna amministrazione era stata così completamente filoisraeliana e antiaraba come la sua”.
Sulla questione cruciale dell’ispezione di Dimona, gli israeliani ignorarono le condizioni di JFK e il reattore divenne critico il 26 dicembre. Quando si verificò l’ispezione, tre settimane dopo, non fu possibile ispezionare le aree che erano irradiate. Un commento scritto a mano sul rapporto dice: “Avremmo dovuto visitarlo prima!” Noi non sappiamo che cosa sarebbe successo se JFK fosse stato alla Casa Bianca ma, data l’intensità dei suoi sforzi e le sue profonde convinzioni riguardo ai pericoli della proliferazione nucleare, la questione non sarebbe stata ignorata come invece fu sotto LBJ.
Sotto LBJ, le relazioni con l’Egitto si deteriorarono. Gli USA smisero di fornire direttamente prestiti di assistenza e sovvenzioni all’Egitto. Gli USA divennero sempre più antagonisti al presidente Nasser, come desiderava la lobby israeliana. Il sostegno degli USA per la risoluzione della questione dei profughi palestinesi diminuì e poi si interruppe.
Gli sforzi del Dipartimento di Giustizia per obbligare il Consiglio Sionista Americano a registrarsi come agente straniero si affievolirono sempre più fino a quando non vennero abbandonati sotto il nuovo procuratore generale di LBJ, Nicholas Katzenbach. La sequenza degli scambi include:
L’11 dicembre 1963, l’avvocato dell’AZC scrisse al Dipartimento di Giustizia affermando: “Il nostro cliente non è disposto a registrarsi come agente di un governo straniero”. Invece propone di fornire “volontariamente” le informazioni finanziarie richieste.
Nel gennaio e febbraio 1964 ci furono più scambi tra l’AZC e il DOJ. L’AZC espresse preoccupazione perché l’American Council for Judaism aveva affermato pubblicamente che l’AZC agiva come “agente di propaganda per lo stato di Israele e che l’AZC veniva utilizzata come canale per finanziare l’organizzazione sionista negli USA”.
Nell’estate del 1964 Nicholas Katzenbach divenne procuratore generale. I negoziati continuavano. Il personale del Dipartimento di Giustizia annotò che l’AZC era “in stallo” e non forniva informazioni accettabili nonostante il trattamento sempre più speciale e favorevole. Nella primavera del 1965 il Dipartimento di Giustizia accettò che l’AZC non fosse tenuto a registrarsi come agente straniero”. Le loro informazioni finanziarie erano conservate in un’unica cartella espandibile. A novembre 1967 l’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) fece domanda per esenzione fiscale federale. Il Dipartimento del Tesoro la concesse, retrodatata al 1953.
Israele sionista sempre più aggressivo e intransigente
Il successo nello sviluppo delle armi nucleari incrementò le azioni aggressive di Israele e la sua riluttanza a risolvere la crisi dei rifugiati palestinesi.
Con le informazioni di intelligence fornite da Washington, Israele lanciò un attacco di sorpresa contro Egitto, Siria e Giordania nel giugno 1967. La “Guerra dei Sei Giorni” fu un punto di svolta cruciale nella storia del Medio Oriente. Israele sconfisse rapidamente gli impreparati eserciti arabi. In Occidente, la percezione pubblica di Israele cambiò da un giorno all’altro. Fu creata la mitologia della superiorità militare (e generale) israeliana. Fra la popolazione ebraica statunitense, i dubbi e le preoccupazioni su Israele svanirono e il sostegno salì alle stelle.
L’arroganza e la malafede dei leader israeliani sono esemplificati dall’attacco alla nave statunitense Liberty durante la Guerra dei Sei Giorni. La nave stava monitorando le comunicazioni nel Mediterraneo orientale quando fu attaccata da aerei e vascelli israeliani. Trentaquattro marinai statunitensi furono uccisi e 172 feriti. Sorprendentemente, la nave rimase a galla. Evidentemente il piano era di affondare la nave, dare la colpa all’Egitto e consolidare il sostegno degli USA e la loro ostilità verso l’Egitto e l’Unione Sovietica.
Lyndon Johnson ignorò le richieste di aiuto della nave, dicendo: “Non metterò in imbarazzo il mio alleato”. Quell’incidente mortale fu nascosto per decenni.
Non sappiamo con certezza cosa sarebbe potuto accadere se JFK non fosse stato assassinato.
È possibile che a Israele sarebbe stato impedito di acquisire la bomba. Senza bomba, forse non avrebbero avuto l’audacia di lanciare gli attacchi del 1967 contro i loro vicini, occupando il Golan, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Se la lobby sionista fosse stata obbligata a registrarsi come agente straniero, la loro influenza sarebbe stata moderata. Forse Israele avrebbe potuto trovare un accordo ragionevole coi Palestinesi, con uno o due stati.
Invece, Israele si è trasformato in un regime di apartheid, commettendo massacri sempre più vergognosi. Come aveva avvertito Kennedy nel 1960, Israele è diventato uno “Stato guarnigione” circondato da “odio e paura”. L’assassinio di John F Kennedy assicurò il controllo sionista su Israele, sofferenza per i palestinesi e permanente instabilità.
[i] https://vcomevittoria.it/la-mitologia-paradossale-del-moderno-israele/ [NdT]