La crisi dell’Occidente è trasversale ed equamente distribuita, in quanto mette in trappola sia i ceti comuni che l’establishment e l’élite; anzi, sembra che più si sale di grado e più l’aporia diventi disperazione, motivo per cui l’andamento delle cose è lasciato all’inerzia, proprio da chi dovrebbe assumere la guida della macchina. Dato per scontato che il potere è privo di empatia, e anche di costruttività, bisogna destituirlo con irriverenza, ma non prima di averlo compreso. È controproducente per noi, i comuni mortali, di essere costantemente ossessionati dal potere, anche perché nella paranoia che ci pervade spesso dimostriamo una forma di dissociazione emotiva, l’incapacità di immedesimarci con chi riveste istituzioni e piani superiori, di provare quella specie di empatia al negativo, che poi è il male che temiamo dentro di noi, per comprendere l’ambiguità, il degrado e il tradimento dei governanti, nonché la loro annichilente infelicità. Quanti sono i capi di Stato o i filantropi che a immediata percezione trasmettano gioia di vivere, integrità e buona salute? (Personalmente mi vengono in mente solo un paio.) Non solo, ma una buona parte dei potenti ha persino bisogno di cure e sollievo da abissali sintomatologie psichiatriche, considerando che già per le mansioni più ordinarie e banali necessita di costante assistenza. Nessuno dovrebbe essere più frustrato dall’oscura imprevedibilità del futuro, morte inclusa, di chi ha tante cose da perdere: ricchezze materiali e privilegi di casta, capitali ed attivi abnormi ma non trasferibili nell’aldilà, vincolati esclusivamente a questo mondo.
L’ultima sentenza della Corte Costituzionale in realtà è una lezione sull’impotenza del potere. Con essa viene rotto in modo definitivo il già labile patto con la cittadinanza e la legge fondamentale della convivenza civile (la Costituzione), ma in questo modo il potere istituzionale cade in una situazione senza soluzioni di continuità. Non essere in grado di garantire il rispetto delle basi del diritto, rende ancora più scoperta la questione della legittimità delle cariche non elette direttamente dal popolo, come lo sono il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte Costituzionale, essendo quest’ultimi delle entità quasi segrete e impermeabili alla critica pubblica. Ma il patto sociale è seriamente compromesso anche dagli organi democraticamente eletti, e lo dimostra il fatto che il governo Meloni continua a mandare armi in Ukraina, rispondendo agli ordini di Stoltenberg, invece che alla volontà della maggioranza degli elettori.
Contrariamente alle credenze, il potere è molto più comportamentalista e “pavloviano” di quanto lo siano gli altri gruppi sociali, laddove chi riveste le autorità è soggetto allo stesso condizionamento da riflessi indotti e programmabili come lo sono i comportamenti di massa. Erroneamente noi attribuiamo ai potenti autonomia e capacità di manovra, quando invece si tratta di semplici automatismi e reazioni indotte, di meccanismi logori e ripetitivi, a cui si ricorre sia in modo attivo che passivo, per difesa. È piuttosto frequente che in tali soggetti, carichi del peso della propria importanza, al posto di un ordine razionale e coerente di idee, si osservino confusione logica e rigidità mentale, tipiche di quel “andare in tilt” che finisce per bloccare il funzionamento dell’intero sistema. Nella divergenza fra ciò che demagogicamente dichiara e promette e ciò che realmente persegue, il potere politico non è solo ipocrisia: la sua vera essenza è proprio l’illegalità, l’uso di estorsioni e ricatti e la paura di subirli, quindi la complicità con i metodi della mafiosità. Tornando al discorso pavloviano, per un politico o pubblica autorità basterebbe, appunto, la paura di essere minacciati, più che la reale minaccia, affinché iniziassero a comportarsi in modalità di difesa, e non di propositività e legittima soluzione dei problemi.
In questo modo, paradossalmente, chi è più intrappolato e bloccato è proprio chi ha la prerogativa di prendere decisioni e dare ordini, perché ogni istituzione porta la memoria della punizione, di quei incidenti di fatalità con cui si colpisce uno per educarne cento, il che mette in atto i riflessi condizionati della sottomissione, anche in assenza di reali pressioni e minacce. D’altronde, ogni politico offre le premesse per essere minacciato, già solo per il fatto di avere una vita privata, ragione per cui i politici si mobilitano a “spaccare il mondo” mentre sono all’opposizione, per poi convertirsi alla pavloviana prevedibilità. Quindi il potere è inganno, ma anche autoinganno perché, per accettare i compromessi con la propria coscienza, si tenta di autosuggestionarsi, di percepirsi come onesti e buoni, considerando i propri peccati come qualcosa di momentaneo e perdonabile, a fin di bene. Auto-convinzione ancora più facile se ci si cala nel ruolo della vittima. Ecco perché tanto emotiva è stata l’incredulità di un Soumahoro, nel momento in cui da ex vittima è diventato bersaglio di accuse in quanto predatore.
Il caso mediatico del parlamentare piddino serve per illustrare ancora più chiaramente un altro fenomeno “pavloviano”, giacché nessuno meglio dei media poteva incarnare questa patologia. Una volta aver percepito che la Meloni era la protetta di Mattarella, approvata dagli “anziani” oltreoceano, i media non hanno tardato a farle un regalo, portando alla ribalta un comodo bersaglio, in modo da favorire la retorica anti-emigrazionista del suo governo. Il copione è sempre lo stesso: i leader progressisti si servono di nuove figure, provenienti da realtà spesso marginali, per poi cooptarle e normalizzarle, facendole diventare parte dell’establishment e del giro di denaro pubblico. Il politicamente corretto prima costringe l’opinione pubblica a reprimere i propri pregiudizi razziali, per poi farla scatenare sul mal capitato, usato come capro espiatorio, come valvola di sfogo di un moralismo e di una giustizia ad orologeria. Perché i giornalisti non si occupano di problemi e di questioni seri, ma di ciò che provoca la loro salivazione, da perfetti cani addestrati a reagire al campanellino della regia della distrazione.
Uguale identico è stato il caso di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace, non a caso amico di Soumahoro, inalzato anche egli ad eroe dai media progressisti, per essere poi abbandonato alla giustizia e all’oblio. E non è escluso che tale sarà il destino anche di Saviano, reo processato per diffamazione nei confronti della Meloni, commessa in tempi non sospettì, prima ancora che si prospettasse la sua ascesa a capo del governo. Un brutto segno per Saviano, quello della difesa mediatica della Meloni assunta da Bruno Vespa. Il ragazzo di Napoli, entrato nei salotti esclusivi anche egli da vittima e perseguitato dalla Camorra, segna il record per aver scritto e parlato cosi tanto di mafia senza mai nominare quella vera, quella sovranazionale, che è al di sopra di ogni legge ed alimenta e mantiene in vita le mafie territoriali, rendendo superflui gli interventi delle forze pubbliche. Da difensore d’ufficio delle Ong e promotore occulto del traffico di persone, l’auto-suggestione di Saviano è talmente allucinante da farlo sentire il guardiano della morale progressista, il supremo difensore dei più deboli. Compiaciuto e gonfio di sé, sarà in buona compagnia degli amici di merenda, rimpiangendo la propria imprudenza, ma oltre tutto ad aver sottovalutato l’intelligenza del pubblico. Alla fine, l’unico vero potere – mutevole, incondizionabile e imprevedibile, è quello della pubblica opinione, che non solo non perdona la falsità e la troppa esposizione mediatica, ma è in grado di fare massa critica e di auto-gestirsi, e forse anche di auto-governarsi, senza l’impiccio del patologico potere pavloviano: quest’ultimo ancora da dimostrare, auspicabilmente prima possibile.
04 Dicembre 2022
Zory Petzova