Ve lo ricordate quel famoso aneddoto sull’aquila che credeva di essere un pollo? Il magnifico rapace, catturato quand’era un pulcino, venne costretto a razzolare insieme ai pennuti di un pollaio. Crescendo, e pur conservando il suo magnifico e regale piumaggio, l’augusto volatile seguitò a comportarsi come gli era sempre stato “insegnato”, cioè da gallina. Nel celebre best seller di Anthony de Mello, la metafora si è fatta titolo: messaggio per un’aquila che si crede un pollo. Ecco, ora immaginate di essere voi i polli. Questa è una cattiva notizia. Ma ce n’è anche una buona: siete, nello stesso tempo, anche le aquile, nel senso che la vostra è una sindrome da indottrinamento curabile e guaribile.
E quando scrivo “voi” intendo, ovviamente “noi”, cioè tutti gli italiani educati, fin da bambini (o ri-educati da adulti) a credere in un solo Stato, Sovrano e Onnipotente chiamato Unione Europea che ci avrebbe privati della sovranità monetaria. Quantomeno a far data da quell’infausto giorno, da segnare sul muro col gessetto nero, che è il primo gennaio 2002, allorquando la moneta detta euro sostituì la nostra vecchia, cara lira. Bene, è noto a tutti, oramai – tanto da essersi tramutato in un sapere pop di universale condivisione – quanto sia importante per uno Stato possedere la cosiddetta “sovranità monetaria”. Non solo importante, addirittura decisivo, al punto che – senza di essa – lo Stato, al massimo e ben che vada, può definirsi una colonia altrui.
Purtroppo, nel Paese si è diffusa, anche tra i cosiddetti populisti anti sistema, la convinzione che tutti i guai italiani derivino dalla perdita di tale prerogativa. Il che sarebbe vero se fosse vera la premessa; e cioè che l’Italia ha perso la sua sovranità monetaria. Ma se la premessa fosse errata? Se fossimo stati tutti colti da un fenomenale abbaglio che ci ha resi ciechi di fronte all’evidenza delle cose, soprattutto all’evidenza delle “cose giuridiche”? In questo caso ci saremmo comportati da polli, ma resteremmo tuttavia delle aquile. Ci basterebbe scuotere forte le nostre ali per tornare a librarci nell’azzurro come i sovrani dei cieli. Forse è davvero successo qualcosa di simile. I trattati europei non ci hanno tolto affatto la sovranità monetaria, anche perché non potevano farlo.
A mente dell’articolo 1 della Costituzione, la sovranità del popolo italiano appartiene al popolo medesimo e non è mai cedibile, al massimo limitabile in rarissime e ben definite ipotesi contemplate dall’articolo 11 della Costituzione. Di più: la “forma repubblicana dello Stato” (nell’alveo della quale, giuridicamente parlando, riposa – per così dire – anche la sovranità monetaria) non è suscettibile neppure di riforma costituzionale, come statuito dall’articolo 139 della stessa Carta fondamentale. E allora abbiamo frainteso i famosi trattati? Forse sì, forse siamo stati più realisti del re, come usa dire. In verità, l’articolo 3 del trattato di Lisbona (TFUE) attribuisce in via esclusiva alla UE la sola politica monetaria, mentre le politiche fiscali e quelle economiche sono ancora di competenza degli Stati.
C’è qualche differenza tra il termine “politica monetaria” e il termine “sovranità monetaria”? Una differenza come quella che passa tra il dire e il fare, diciamo. La politica monetaria, secondo le definizioni comunemente accettate, riguarda gli strumenti, gli obbiettivi, gli interventi impiegati dalle banche centrali per regolare l’offerta di valuta, mentre la sovranità riguarda il diritto esclusivo di uno Stato di battere moneta. La prima, in Europa, è esercitata in regime di monopolio dalla Banca Centrale Europea. La seconda, invece, è tutt’ora di competenza dei singoli stati in assenza di una norma che li privi di tale potere (norma certamente non introducibile attraverso un trattato internazionale, poi recepito per via parlamentare, se non a pena di una patente incostituzionalità della stessa).
Senza contare che il notissimo brocardo latino (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit: dove la legge ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto) dovrebbe farci serenamente concludere che, in mancanza di una espressa disposizione normativa in proposito, la sovranità monetaria appartiene ancora, e ad ogni effetto, allo Stato italiano. Non a caso, ex art. 128 comma 1 del TFUE (Trattato di Lisbona) l’istituto diretto da Mario Draghi ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno del territorio degli Stati dell’Unione. Abbiamo detto – e nel trattato è scritto a chiare lettere – “banconote”. Ma lo stesso articolo 128 comma 2 conserva in capo agli Stati l’esclusiva nel conio, per esempio, delle monete metalliche. Il conio di queste ultime, già oggi, è pacificamente, e per espressa disposizione dei trattati, di competenza precipua dei singoli Stati (con approvazione della BCE) i quali fanno poi, di tale articolo, l’uso che credono. Ad esempio, la Germania di monete metalliche in euro (di vario importo) ne ha immesse parecchi miliardi più di noi sul mercato. Tutto oro che cola, per usare un’espressione proverbiale; che “nasce”, cioè, come moneta autenticamente “positiva” e non alla stregua di un debito (destino, questo, ineluttabile per le banconote partorite dalla BCE e poste poi a disposizione, cioè “prestate”, al sistema bancario che, a sua volta, le “presta” agli Stati).
Ma ci sono anche altri sistemi attraverso i quali lo Stato può esercitare tale sovranità (mai) perduta. Per esempio la stampa di biglietti di Stato utilizzabili all’interno del territorio nazionale oppure la moneta elettronica creabile con il clic di un computer ex art. 114 bis del Testo Unico Bancario. E poi i cosiddetti crediti fiscali ed altre iniziative ancora.
Insomma, abbiamo un problema più psicologico che economico. Basterebbe solo svegliarsi dall’ipnosi collettiva in cui siamo precipitati a furia di sentirci dire che “abbiamo perso la sovranità monetaria”. E siccome viviamo in un periodo storico in cui le massime autorità (mai elette da nessuno), di quel complesso di burocrature a-democratiche da cui siamo dominati, non perde giorno per ricordarci che dobbiamo “rispettare le regole”, allora forse è bene cominciare a ragionare secondo la stessa logica formale, curiale, bizantina.
Sarà bene, in altri termini, rammentare a lorsignori che quelle regole non solo intendiamo rispettarle, ma ci siamo anche premurati di leggerle, prima. E quindi, con o senza il loro permesso (non serve alcun permesso per compiere degli atti pienamente leciti), cominceremo da domattina ad applicarle.
Servi si diventa per ignoranza e distrazione. Sovrani, invece, si nasce. E noi, modestamente, lo nascemmo.
© Francesco Carraro – Avvocato – www.francescocarraro.com