Nel regime d’emergenza permanente, necessario per dissimulare la fase terminale del neoliberismo (ossia la sua stratosferica bolla speculativa), la guerra durerà quanto lo deciderà la NATO. Stoltenberg è stato chiaro che “la guerra sarà lunga”, ma senza specificare quanto lunga, proprio perché le condizioni della sua fine non dipendono dai paesi direttamente coinvolti. Per lo più, con il nuovo conflitto diplomatico fra Kaliningrad e la Lituania è stato già garantito il prossimo episodio del seriale bellico, visto che la fase della mitica resistenza ucraina volge all’esaurimento, ma questo è ancora poco rispetto alla capacità della NATO di generare conflitti e irresponsabilità in modo automatico e incontrovertibile.
In realtà, al netto degli interessi di produttori d’armi e lobbisti, ci sarebbe un forte deterrente al prolungamento del conflitto militare, e questo è la scarsità del fattore umano. A differenza delle guerre del secolo scorso, quando venivano mobilitati i soldati di leva, nelle guerre moderne vengono impiegati soldati professionali, il cui addestramento rappresenta un costo significativo e li rende non facilmente rimpiazzabili. I soldati professionali sono anche particolarmente cinici, per cui non è facile indurli a combattere in condizioni sfavorevoli, motivo per cui Zelensky ha messo in atto la legge marziale contro i disertori, considerati i numerosi casi di “tradimento” alla causa nazionalista.
C’è da riconoscere che, una volta ogni tanto, anche il politicamente corretto si rende utile come deterrente bellico, con l’anti-militarismo e il pacifismo arcobaleno che sogna un mondo senza guerre. Tutto bene se non fosse che il pacifista il denaro risparmiato per le armi lo utilizzerebbe per acquistare e distribuire miliardi di vaccini ai poveri del mondo, come se questi non aspettassero altro. Il popolo arcobaleno non si era nemmeno accorto che la pandemia e i suoi lock down, campagne vaccinali e green pass ricalcavano le stesse logiche della guerra e servivano alla militarizzazione della società, anche in assenza di guerra.
Mentre il politicamente corretto si esercita nella retorica del vaniloquio, la sinistra piddina e Draghi sono impegnati a produrre dei disastri con azioni politiche concrete, come quella di battersi per l’adesione precoce dell’Ukraina alla UE, dichiarando di essere pronti a concedere i miliardi necessari alla sua ricostruzione, perché l’Ukraina è “democratica ed europeista”. In realtà l’Ukraina non ha mai avuto nulla a che fare con la democrazia e le regole civili. Oltre ad essere il paese europeo con i più clamorosi primati negativi in termini di criminalità, corruzione, reddito pro capite, leggi razziste e cv, fin dalla sua costituzione come Stato sovrano essa si è distinta per una crescente instabilità. Mentre gli altri paesi del Patto di Varsavia erano riusciti a rielaborare il caos sociale entro il primo decennio dopo la caduta dei rispettivi regimi, l’Ukraina è stata la grande eccezione. Basterebbe fare il paragone con la Russia e la Bielorussia. Con l’ascesa al potere di Putin, la Russia ha segnato un periodo di ricostruzione istituzionale e di costante crescita economica, accompagnati da una ritrovata e naturale stabilità interna, per non parlare della Bielorussia, che vanta una qualità dei servizi pubblici e dell’ordine pubblico fra le più alte in Europa, probabilmente perché i suoi governanti non avevano svenduto e privatizzato selvaggiamente gli asset statali del periodo sovietico. Laddove in Ukraina, pur essendosi essa ripresa dagli shock degli anni ’90, il saccheggio organizzato non è mai cessato, ne diminuito, e le turbolenze politiche e sociali si sono persino intensificate, anche dopo l’elezione ‘democratica’ di Zelensky, per cui bisogna chiedersi come e con quali criteri saranno gestiti i miliardi versati dai paesi europei.
A quanto sembra, per l’élite italica finanziare l’Ukraina sarà solo l’ennesimo vincolo esterno per giustificare la distruzione interna del paese, visto che esso continua a resistere e a conservare il suo potenziale di ricchezza privata. Nella sua sintesi il piano delle oligarchie si racchiude nel “distruggere la domanda”. Di elaborazione mario-montiana, questa formula è stata rievocata giorni fa dal presidente di Nomisma Energia, un tale Davide Tabarelli, che dichiara che il razionamento del gas sarà duro e difficile, ma è l’unico modo per distruggere la domanda e abbassare i prezzi. Per reprimere la domanda di energia si darà la colpa a Putin – un vincolo esterno sempre pronto ad uso, ma la verità è che negli Stati Uniti, che pure sono uno dei maggiori produttori di petrolio, il prezzo della benzina ha iniziato a crescere ancora un anno fa e in un po’ meno di un anno è matematicamente raddoppiato. È un dato riportato dall’agenzia ANSA, che dà conto dei malumori del popolo americano, sottolineando che esso non crede più a Biden, perché anche se quest’ultimo ripete da settimane che il caro energia è colpa di Putin, la rabbia degli americani non si placca. Ma allora chi o cosa ha scatenato l’aumento originario del prezzo del carburante?
Nella UE la crisi energetica era conclamata già lo scorso anno, motivo per cui ad ottobre 2021 ci è stato un Consiglio dei Ministri dell‘Energia europei, con Polonia e Spagna a chiedere interventi sovranazionali immediati, a cui si sono opposti i paesi del nord Europa, secondo i quali l’aumento dei prezzi era temporaneo e affrontabile con politiche nazionali, ossia ognuno doveva fare per se. Nel mese di dicembre, quindi sempre un paio di mesi prima dell’invasione russa, era chiaro che si sarebbe andati incontro ad un anno drammatico in materia di energia. Nello stesso periodo in Italia è stato convocato ben tre volte il Consiglio dei Ministri durante le festività natalizie, ma non per parlare di energia, bensì per prendere provvedimenti vessatori nei confronti dei non vaccinati. Per il governo Draghi la priorità era, e rimane, quella della repressione e il controllo della popolazione. Ma se l’energia non era la priorità, si presuppone che di conseguenza non lo sarebbe nemmeno la sopravvivenza fisica degli italiani. Allora perché dare la colpa a Putin? Semmai Draghi dovrebbe ringraziargli perché gli rende il compito ancora più facile.
In questo modo, dopo essere stata il paese pilota del Green pass e la digitalizzazione di massa, l’Italia viene candidata a diventare anche il primo paese martire del deflazionismo. Solo che a differenza di 10 anni fa, oggi si sa che la deflazione non è la cura contro l’inflazione, ma lo strumento della de-industrializzazione e la colonizzazione del paese. Un’inflazione endogena e sana, dovuta alla crescita della domanda di energia e materie prime dopo la pandemia, avrebbe favorito i debitori (persone fisiche e imprese) e danneggiato i creditori (banche e rendite finanziarie), oltre ad aver creato maggior occupazione. Un decennio fa l’opinione pubblica aveva accettato l’austerità di Mario Monti, credendo che fosse imposta dalla Germania di Merkel (il finto vincolo esterno), ma in realtà la famosa lettera della BCE, firmata da Trichet e Draghi, era stata scritta in Italia, dall’allora direttore generale della Banca d’Italia e attuale ministro dell’Economia Daniele Franco, una vicenda che vede coinvolto anche Brunetta, il che spiega il risalto che ha quest’ultimo nell’attuale governo, insieme a quello di Franco.
Tutto ciò testimonia che per gli italiani il vero nemico non è fuori, ma dentro casa, e questo va ribadito, nello stesso modo in cui il politicamente corretto ribadisce come la violenza in famiglia prevalga su quella nei luoghi pubblici. Sembra che la stessa imposizione del governo Monti da parte di Napolitano non sia stata così indispensabile, in quanto un qualsiasi altro governo, rappresentato già in parlamento, avrebbe fatto le stesse riforme ai fini dell’austerità, ma fu fatta affinché gli oligarchi italici potessero “stupire” l’Europa e il mondo intero, dimostrando che il popolo italiano è talmente succube da fargli digerire qualunque cosa, persino i colpi di Stato interni. Di matrice assolutamente analoga è stata anche l’imposizione del governo Draghi da parte di Mattarella, e questo non perché il governo Conte/PD non avrebbe fatto esattamente le stesse scelte, ma per sottolineare il carattere dittatoriale dell’élite locale. In questo senso l’outing voltagabbana di di Maio, per quanto segno di un’ambizione malata e di vigliaccheria, è quantomeno più trasparente e sincero della finta opposizione di Conte, come lo è quella di Salvini e di Meloni, inutili a ogni dialettica parlamentare.
Nessuno oggi sarebbe in grado di costringere l’Italia a svolgere il ruolo di paese pilota deflazionistico, in quanto l’Italia non è ne più ne meno debole finanziaramente degli altri paesi UE, essendo il suo debito privato fra i più bassi nell’eurozona. La stessa Germania, per esempio, è molto più vulnerabile, con la bolla tossica di Deutsche Bank pronta a scoppiare a momenti. Tutto l’approccio alla guerra in Ukraina da parte del governo Draghi non è stato guidato tanto dalla volontà di cambiare i rapporti in campo, quanto a dimostrare alla propria popolazione che l’opinione pubblica non conta nulla e che le istituzioni lavorano per rilanciare la potenza delle oligarchie, il modello dell’auto-colonialismo. In questo schema di potere, l’esibizione, anzi l’ostentazione della propria brutalità contro la popolazione rappresenta un modo per accreditarsi presso i padroni stranieri, e per suscitare in loro timore e considerazione. Non è escluso che prima ancora del razionamento energetico, inevitabile nell’autunno, con la scusa della siccità (né più né meno di altri anni) ci sarà anche il razionamento dell’acqua potabile. Anzi, questo si preannuncia con effetti speciali ancora più spettacolari, ed è inutile specificare perché.
26 Giugno 2022
Zory Petzova