Il governo Draghi si era costituito per introdurre le modalità di gestione del nuovo regime emergenzialista: dall’emergenza sanitaria è passato a quella bellica, in concomitanza con quella climatica, tutte unite dall’inderogabile digitalizzazione di massa. La sua ragione maggiore era però l’emergenza bellica: Draghi era colui che avrebbe dovuto dichiarare e formalizzare la partecipazione di Italia nella guerra aperta, e non più indiretta, della NATO contro la Russia in autunno. Solo che si stava prospettando un problema: al netto della personale indisposizione di Draghi, che evidentemente si sentiva sempre più in trappola, un governo tecnico – proprio in quanto tecnico – non avrebbe avuto la necessaria legittimazione dal basso per fare un passo tanto repentino e determinante, come quello di portare il paese nel mezzo di un pericolosissimo conflitto geopolitico. Tale legittimazione può essere conferita solo dalle elezioni, che offrono la facciata di quello che noi chiamiamo “democrazia”.
A titolo di paradosso, bisogna fare una breve osservazione: è curioso come il gerarca tecnocratico per antonomasia, che è stato sempre distaccato e totalmente indifferente dell’opinione pubblica, abbia voluto rimediare a questa incuria, giocandosi la carta del consenso pubblico all’ultimo minuto, ossia alla consegna delle dimissioni, raccogliendo un largo consenso trasversale che lo invitava a rimanere. Pur trattandosi, ovviamente, di una mera operazione mediatica, questo è ugualmente indicativo di come anche i poteri forti ci tengono – e non poco – all’idea di consenso pubblico per portare avanti la loro agenda; non importa se si tratta di un’agenda totalitarista, anzi, ancora meglio.
Questo spiega il termine piuttosto ravvicinato delle elezioni: non tanto per non dare alle nuove forze politiche il tempo necessario per espletare le formalità burocratiche e organizzarsi, quanto per anticipare gli eventi caldi di questo autunno con un governo votato dagli elettori. La campagna elettorale, che viene simulata con espedienti piuttosto rocamboleschi, non è certo animata dalla competizione fra diverse prospettive e idee politiche, perché il macro programma rimane esattamente quello stabilito dall’agenda Draghi, compreso il vincolo militare e geopolitico. L’unica differenza sarà la nuova composizione del governo, su cui i media hanno già un’idea piuttosto chiara, a dispetto di ogni margine d’imprevedibilità.
Il nuovo governo di destra, il cui vanto maggiore sembrerebbe quello di designare la prima donna premier nella storia italiana, non farà alcun passo indietro e, come già dichiarato ad alta voce dai suoi esponenti, porterà il paese in modo ancora più scandito e deciso nel braccio del Patto atlantista, dalla parte delle istanze della ‘democratica’ Ukraina. Ma rispetto al governo Draghi avrà il consenso elettorale, la legittimazione dal basso. E’ poco probabile che la Meloni faccia come Trump, che simulava prepotenza bellica per dissipare i dem e confondere i media, per poi fare in realtà l’esatto opposto – disinnescare per via diplomatica le tensioni geopolitiche create dai governi precedenti. Dalla destra italica di sistema ci si potrebbe aspettare la solita demagogia nel promettere cose buone per lavoratori e la PMI, la maestria nel creare consenso, per poi spenderlo non per gli interessi nazionali; forse con qualche eccezione per la micro-economia, il che rende la destra comunque meno peggio del male radicale investito dal PD e associati.
A tutti gli effetti avremmo una campagna elettorale selettivamente mediatica (come lo è stata la gestione della pandemia), che non farà nemmeno menzione delle nuove forze politiche in gara. I media di regime non solo scelgono i temi e gli argomenti del così detto dibattito pubblico, ma sono loro ad assegnare i ruoli governativi. Il loro compito è cambiare i governi per non cambiare la macro-agenda politica del sistema, che ammette solo ‘cambiamenti’ che gli garantiscono di preservare le stesse priorità di lobbying e la stessa gerarchizzazione. In effetti, la contesa dei voti fra la destra e la sinistra è irrilevante, visto che poi, nelle decisioni importanti, qualsiasi governo dovrà piegarsi a una realtà maggiore. Dobbiamo ancora subirci gli equivoci mentali di Letta che chiama la destra di Meloni e Salvini “fascista”, però sia lui che la Meloni sono membri dell’Aspen Institute, mentre il PD e la Lega spingono entrambi per l’autonomia differenziata delle Regioni ricche del Nord.
Per quanto riguarda noi elettori, siamo ancora nel ruolo di commentare quanto sia fallace la democrazia dei partiti e ingannevole la dicotomia destra/sinistra, ma stentiamo a immaginare una via d’uscita dal recinto e dal riciclaggio sterile di questo sistema – un’uscita possibile soltanto con l’introduzione di forme di democrazia diretta e di controllo dal basso, per le quali, ahimè, la stragrande maggioranza non si sentirà mai pronta, anche perché non ne è stata mai educata. Preferiamo ancora votare per persone sconosciute e leader di partito esaltati o insignificanti, di cui tradimenti poi rimaniamo regolarmente delusi, invece di votare direttamente per idee, proposte e decisioni che ci riguardano direttamente. Cosa può fare un elettore deluso o scettico? Può votare un partito che in questo momento appare come anti-sistema o non votare affatto, dando sfogo alla propria delusione nello spazio virtuale e rispondendo con sarcasmo che forze politiche anti-establishment ci sono già state e i risultati si sono visti.
Se è vero che il mainstream coltivi il recinto virtuale della narrazione politica e sociale, creando un gap incolmabile fra realtà e rappresentazione, bisogna riconoscere che anche l’informazione alternativa è similmente selettiva, tendente a sollevare argomenti e temi già accreditati dai media ufficiali, e una delle prove ne è il totale silenzio su possibili nuove forme di partecipazione politica. Le emergenti forze politiche, che si affacciano al contenitore parlamentare, sono motivate dall’urgenza di contrastare le pericolose derive dei partiti di sistema, e questo è condivisibile, ma non offrono alcuna garanzia che un giorno anch’esse non aderiranno alle stesse logiche di trasformismo. Ci sarà mai una forza politica che presenterà l’idea di un sistema istituzionale innovativo, per persone che vogliano essere protagonisti, e non solo elettori di qualcuno?
08 Agosto 2022
Zory Petzova