È piuttosto bizzarro che sia stato uno dei politici più anziani a calarsi nel ruolo di quel bambino che nella fiaba di Andersen fu l’unico ad esclamare “il Re è nudo!”, il che dimostra che la verità fa scandalo non perché sia lo svelamento di chissà quali inarrivabili segreti, ma perché con la sua irruzione crea una sonora rottura con la narrazione dominante e il dogma della pseudo-moralità. Paradossalmente, sullo sfondo dell’inqualificabile bordello politico in cui si è trasformata l’Europa, Silvio Berlusconi appare uno eretico, e in tal senso uno puro, che riporta l’assurda e grottesca finzione alla semplice verità.
Oggettivamente, la sintesi esplicativa che Berlusconi impartisce all’adunanza del suo partito non fa una piega: a partire dagli argomenti in materia di trattati internazionali e responsabilità guerrafondaia dell’Ukraina, per arrivare all’opinione personale su Zelensky, la quale, pur risparmiata, fa intendere ancora di più. È una breve lezione di geopolitica che “gli allievi” di Berlusconi conoscevano già bene, ma che non si aspettavano di dover sentire, visto che averla sentito li ha messi nella posizione di complici della verità e nell’imbarazzo di doversi giustificare con le cariche alte di Washington e Bruxelles. Il merito di Berlusconi è di aver rivelato che “tutti sanno tutto”, anche se fingono diversamente, e in questo modo di aver messo a nudo la credibilità della nuova leader della coalizione di destra, la prima donna premier, che resterà nella storia istituzionale come campionessa di voltagabbanismo, qualcosa che, grazie alle tracce che i politici stessi lasciano con i loro tweet, i social hanno saputo evidenziare in tutta la sua grossolanità. Dopo la “fuoruscita” di Berlusconi, Meloni la sovranista, da amica di Orban e appassionata sostenitrice dei valori della Russia di Putin, ha dovuto assestare un tempestivo, l’ennesimo, giuramento di fedeltà atlantista, guai a essere fraintesa per colpa del suo inopportuno alleato.
L’atlantismo del partito di Meloni oggi è identico a quello del PD, e purtroppo non si tratta solo di un’adesione formale a titolo di escamotage per fregare l’opposizione con le sue stesse carte ed accedere al potere. Gli elettori della destra si aspettano che la Meloni, una volta al governo, riporterà il decisionismo passionale della politica contro la fredda razionalità dei tecnici-esperti, favorendo gli interessi nazionali, ma non hanno capito che la loro leader, per essere la favorita dei media ben prima delle elezioni, era già sintonizzata su una nuova frequenza. Distratti dai soliti scenografici isterismi del PD e vari personaggi pubblici sul pericolo fascista, pochi si sono accorti che la donna Giorgia era invece protetta da Mattarella, in quella specie di “democrazia del preside”, la democrazia scolastica del preside padrone, che si è configurata in Italia da qualche anno (a partire da Napoletano 2). La protezione del preside Mattarella è stata inequivocabile, confermata dalla protezione mediatica del vice-preside Bruno Vespa che, ancora prima delle elezioni, aveva battezzato ed accreditato la nuova leader per darle importanza davanti agli studenti/elettori.
Se c’è una certezza, questa è che la Meloni non sarà ciò per cui è stata votata; a differenza dei veri sovranisti, la ragazza dei sobborghi romani è stata allevata dai potenti per poter euforizzare le masse con i suoi toni da esaltata, per poi convogliarli all’obbedienza coloniale. Anche se bisogna riconoscere che, durante la pandemia, si era mostrata abbastanza saggia e ponderata, quasi in controcorrente con la follia della vaccinolatria. Se il nuovo governo fosse davvero un ritorno alla politica, da intendersi la politica incentrata sulle priorità nazionali, la sua premier dovrebbe scongiurare qualsiasi tipo di emergenza e riportare le basi (costituzionali) di un riequilibrio sociale ed istituzionale, quindi, intanto, dichiararsi per la neutralità militare e l’impegno diplomatico per la pace, invece di fare dediche sentimentali a Zelensky. A livello pratico il governo dovrebbe nazionalizzare l’ENI e l’ENEL, seguendo l’esempio dei governi francese e tedesco. Invece, per come si preannuncia, i nuovi ministri useranno la retorica di voler combattere il caro vita e le bollette alle stelle senza nemmeno nominare e quindi contrastare la causa originaria di tale rincaro, o peggio ancora, dando la colpa a Putin. Quando si dice creare il problema per poi fingere di cercare le soluzioni.
In effetti, il governo Meloni non è nemmeno del tutto politico, visto che ministeri chiave, come quello della sanità, degli interni, della giustizia, sono stati assegnati a dei tecnici che potrebbero rappresentare conflitti d’interesse. Da presidente del consiglio, Berlusconi era costantemente attaccato dalla sinistra per i suoi conflitti d’interesse, nonostante le sue aziende Mediaset, benché beneficiassero delle quotazioni azionarie, a livello di servizio televisivo gestivano il dibattito pubblico con imparzialità, dando perfino più spazio alla sinistra, con un riguardo al pluralismo e la libertà d’espressione molto maggiore di quanto oggi possano vantare le tv pubbliche della Rai. La pandemia ha rivelato la regia atlantista della comunicazione mediatica nazionale, prima ancora che si palesassero il lobbismo farmaceutico e quello militare. Gli interessi corporativi americani non dovevano lasciar scampo né ai media nazionali, né a politici e sindacati. La cosa curiosa è che, come hanno dimostrato Conte e Speranza, i politici possono assumere il ruolo di lobbisti “amatoriali” in modo ancora più attivo ed entusiasta dei lobbisti di mestiere, ossia degli esperti. Nell’epoca della cleptocrazia la politica non è più un luogo decisionale autonomo, bensì una sponda e un acceleratore del lobbying, e in questo mare di interessi economici alcuni politici si mostrano perfino più creativi e zelanti dei lobbisti col regolare pedigree della finanza anglo-sassone: un fenomeno che psicologicamente potrebbe essere spiegato con la devozione del servo, tipico degli arrivisti di umili origini.
La differenza fra Berlusconi e gli altri leader è che Berlusconi, che non vanta umili origini, ha sempre giocato prima per sé, e poi per i fedeli, elettori compresi, ma mai per chi voleva usarlo per interessi esterni. La pandemia, e in particolar modo il business della digitalizzazione, non poteva non allettare anche i suoi appetiti da imprenditore (l’app immuni), ma fatto sta che l’ex premier non ha voluto spingersi oltre la soglia della contingenza, attento a non urtare troppo contro i suoi stessi principi di liberale. Il modo in cui Berlusconi intende il potere ha a che fare con l’edonismo e l’affermazione del proprio “io”, e non con la fredda e misantrope repressione del totalitarismo, o coll’ipocrisia del moralismo militante, e questo è già un demarcatore essenziale che gli va riconosciuto.
Il problema è che l’Occidente, per mera necessità di sopravvivenza delle sue élite, non potrà che fabbricare emergenza dopo emergenza. È diventato una fabbrica di pericoli che ci minacciano, dall’imperialismo russo che vuole invadere l’Europa alle catastrofi climatiche che incombano, una macchina drogata di paranoia, un grande “war business” basato su guerre reali e immaginarie, come la guerra ai virus. Invariabilmente, però, le minacce veicolano affari e gonfiano i titoli di borsa. Ma le élite sovranazionali non si limitano solo al profitto: vogliano avere anche il controllo sociale. Il profilo psico-politico di Meloni si presta alla necessità e alle modalità di tale controllo, che passerà attraverso la distruzione della classe media. La crisi energetica è l’ennesimo colpo, l’ennesimo giro di “tosatura” del ceto medio e di trasferimento di ricchezza nelle mani degli speculatori energetici o/e gli affaristi dell’economia green. La situazione è vicina al punto della rottura e la cucitura sociale saranno i nuovi fascismi, sostanzialmente diversi da quelli storici che perseguivano gli interessi nazionali e l’incremento della ricchezza interna: fascismi di sopporto all’ordine totalitario delle élite neoliberiste. Giorgia Meloni esprime anche un’altra tendenza: dimostra di avere una forte affinità ideologica proprio con quel nuovo tipo di fascismo – giovane e dinamico, che da anni si sta sviluppando in Polonia, in Ukraina – sotto il simbolo della svastica, e nei Paesi baltici, finanziato e incentivato dai dem americani in chiave anti-russa, sullo stesso modello degli estremismi islamici. La nuova Giorgia volta le spalle ai sovranismi un po’ antiquati alla Orban e diventa anti-russa, perché c’è in divenire l’aggregazione di nuove forze politiche che presto potrebbero dominare pericolosamente lo scenario europeo.
Nella nuova coalizione di governo, la Forza Italia e la Lega potrebbero dare timidi segnali di consapevolezza geopolitica e di ritorno all’endorsement filo-russo, oltre a cercare di sfruttare occasioni affaristiche, mentre i Fratelli d’Italia sono avviati a ricongiungersi con il proprio destino e avverare le profezie predittive del “pericolo fascista”, reclamato dai leader del PD, solo che dello stesso fascismo che, pur in salsa politicamente corretta, professano anche quest’ultimi.
23 Ottobre 2022
Zory Petzova