Prima che Ursula von der Leyen avesse provocato gli italiani con la frase infelice sugli strumenti di correzioni di un esito elettorale poco gradito all’Europa, la sua esile persona ha dovuto confrontarsi con Viktor Orban. Simbolo della sovranità nazionale e della sana ragione, il robusto ministro ungherese non aveva aderito alla pantomima delle sanzioni alla Russia e a fine agosto ha firmato un contratto con Gazprom che gli garantisce delle forniture superiori a quelle degli anni precedenti. Gli ungheresi hanno un leader che non li lascerà morire di freddo, ma guai se uno simile lo dovessero avere anche gli italiani, sarebbe un vero smacco all’agenda resettista. In realtà, alle sanzioni al Gasprom non aveva aderito nemmeno la Polonia, vista la sua estrema dipendenza dal gas russo, ma la bacchettata verso il primo ministro polacco è stata ammorbidita in cambio del suo oltranzismo anti-russo che, proprio per quella overdose di russofobia, stride gravemente con la realtà. A prescindere dal governo che si trova, l’Italia non potrà mai essere usata per un oltranzismo del genere, perché almeno la metà della popolazione condivide le ragioni della Russia, per cui gli italiani dovranno scontare altre angherie.
Anche in questo contesto politico, possiamo raccogliere una serie di paradossi: di come per le elezioni italiane viene agitato lo spauracchio del ritorno del fascismo, mentre un’entità già ambigua, come la Commissione Europea, appoggia il neo-nazismo ucraino nella sua performance militarizzata, quando non in quella mafiosa, con tanto di elogio mediatico ed istituzionale al battaglione di Azov. Oppure quando Orban viene condannato dal Parlamento Europeo per aver violato lo Stato di Diritto con una sorta di “autocrazia elettorale”, nel momento in cui quello stesso parlamento non esprime nessuna volontà politica o separazione dei poteri, ma serve solo a ratificare le decisioni di figure e gruppi d’interesse non eletti da nessuno. Ma più propriamente: chi è Ursula von der Leyen, e perché è così impeccabile nell’incarnare la paradigmatica femminizzazione del potere?
Nell’inconscio collettivo, la bionda ed esile figura della tecnocrate tedesca rimarrà impressa con l’episodio del ballo cerimoniale con signor Pfizer (Albert Bourla), ma anche teneramente circondata dalle guardie brutali di Zelensky a Kiev. Una promotrice instancabile della vaccinazione di massa in pectore, cioè prima ancora della pandemia, la von der Leyen è pervenuta alla cronaca all’inizio di quest’anno per aver cancellato i messaggi scambiati fra lei e i dirigenti della Casa farmaceutica di riferimento, cioè Pfizer, e questo dopo aver segretato i contratti con la stessa società per la fornitura dei vaccini. Il problema è che la tecnocrate è recidiva in tali comportamenti. Ancora nel 2019 il Parlamento tedesco aveva constatato che l’attuale presidente della CE era riuscita a far sparire i messaggi che riguardavano il periodo in cui era ministro della Difesa nel governo Merkel. La von der Leyen era stata indagata per aver firmato contratti di consulenza con aziende private, contratti in cui mancava ogni trasparenza sugli oneri a spese dei contribuenti. Ma forse è stato proprio quell’aspetto oscuro a determinare la sua scelta al commando della UE: era già instradata al lobbying militare, ben intrecciato a quello farmaceutico, come poi è risultato dalla sua biografia. Non è da escludere, infatti, che lo scandalo in patria, invece di essere un deterrente alla carriera euro-burocratica, ne sia stato la premessa, qualcosa di funzionale all’ostentazione dell’arroganza del potere, della sua piena immunità alla legge, a maggior ragione se investito dal sesso debole. Questo episodio, inoltre, sarebbe del tutto analogo al caso degli e-mail cancellati dalla Clinton, fra cui decine di migliaia di e-mail istituzionali, con la scusa, opposta all’interrogatorio della FBI, che erano spediti dalla sua posta elettronica privata. È come voler dire: faccio quello che mi pare, cancellando ogni traccia delle mie azioni. E come se non bastasse, questo modello di governare viene spacciato per Stato di Diritto e regolarmente opposto all’Ungheria di Orban, o alla Russia di Putin, a cui vengono invece attribuiti dei connotati dittatoriali da leggende metropolitane.
Lo Stato di Diritto, oltre ad essere fondato sulla separazione dei poteri, dovrebbe rispettare la separazione fra pubblico e privato, cercando di limitare i così chiamati conflitti d’interesse. Cosa insostenibile con la legalizzazione del lobbying e il meccanismo delle “porte girevoli”- il passaggio di personaggi dalla carriera politica a quella privata e viceversa. La von der Leyen è il perfetto incrocio di lobbying e conflitti d’interesse con l’autorità di un’istituzione pubblica, al nome della quale la commissaria intrattiene rapporti personali con aziende private a cui concede favori, e in più è un esempio di interferenza con i poteri giudiziari, avendo reso non tracciabili le proprie azioni e in questo modo ponendosi al di sopra della legge, visto che nessun provvedimento potrà essere preso contro di lei. Nelle scienze sociali questo modello di governo ha un nome preciso e si chiama “cleprocrazia”(dal greco klepto rubare e kratos potere). Secondo Treccani, la cleptocrazia è un sistema segnato da uno strutturale conflitto d’interessi, per cui la distinzione tra Stato e mercato, fra pubblico e privato, tra esecutivo e giudiziario rimane del tutto evanescente. Il potere politico-istituzionale si configura quindi come una lobby trasversale che formalmente simula le funzioni di difesa dell’interesse nazionale e del bene comune, ma sostanzialmente orienta la società verso scelte che portano all’arricchimento di determinati soggetti economici, a discapito degli interessi comuni. In questo modo si crea un piccolo gruppo di oligarchia politico-economica che dispone sia del potere coercitivo dello Stato per difendersi, che della gestione dei meccanismi fiscali dove, attraverso scelte del tutto arbitrarie, può decidere quali settori far prosperare, tassandoli poco o per niente, e su quali invece aumentare la pressione fiscale, indipendentemente dai servizi sociali forniti in cambio. In grosso modo, questa è anche la logica del piano di caro energia, entrato in vigore prima del conflitto in Ukraina, che andrà a colpire i soggetti e le imprese più deboli. L’opinione pubblica ha una percezione limitata della cleptocrazia, equiparandola alla corruzione e ai tangenti ai tempi della DC e dei partiti tradizionali, ma in realtà si tratta di un meccanismo di trasferimento di reddito molto più massiccio, che sposta denaro dalle classi medie e lavoratrici verso ristretti lobby d’affari, meccanismo che potrebbe essere chiamato anche con un ossimoro – “assistenzialismo per i ricchi”.
Molti intellettuali attribuiscono la deriva emergenzialista al furore ideologico del neoliberismo, partendo erroneamente dal concetto di liberalismo, a cui viene imputata la crisi economica in quanto frutto di un sistema di mercato senza regole. In realtà, il neoliberismo è la fase di estremizzazione dell’accumulo di capitali secondo le regole di un mercato già drogato, già condizionato dagli Stati. Affinché ci sia la libertà di movimento per le multinazionali, è stato necessario creare impedimenti di vario genere all’attività economica di piccole e medie imprese attive sul territorio, e non per ultimo uno di questi impedimenti è stato il lockdown. Ma la simbiosi Stato/Corporazioni stava operando da ben prima della pandemia e si potrebbe illustrare con l’esempio di Amazon. La narrazione in circolazione è che Amazon abbia costruito il suo successo con la “soddisfazione del consumatore”, ma in realtà il più grande cliente di Amazon è lo Stato, a cui la corporazione deve la quasi inesistente tassazione sui profitti, nonché i sussidi per le infrastrutture e per gli stipendi dei dipendenti, appositamente tenuti al di sotto del minimo esistenziale. Amazon, per come annunciato sul suo stesso sito, è il principale fornitore di servizi informatici della CIA e della NSA, e grazie a questi super contratti governativi la società dispone della liquidità necessaria per fare dumping ai danni dei concorrenti della distribuzione, ritagliandosi sempre di più una posizione da monopolista. In tale circostanza, il successo commerciale è un effetto, un riflesso di una posizione di rendita, e non merito di chi sa quali capacità sovrumane dell’amministratore. Lo stesso discorso vale anche per le altre multinazionali, unite dallo stesso paradosso: tutte le tecnologie più innovative, di cui esse dispongono, vengano elaborate da agenzie di ricerca federali, finanziate con denaro pubblico, per essere poi privatizzate dalle Corporazioni private, che in pratica le rivendano a chi l’ha inventate, per la volontà proprio di quel sistema di combustione tra pubblico e privato.
Il paradigma emergenzialista ha dimostrato chiaramente che non esiste né il mitico mercato né il “cattivone” che cerca di contrastarlo, cioè lo Stato, ma esiste un’astrazione giuridica chiamata Stato che copre lobby affaristiche che prosperano per conto della stessa integrità sociale e nazionale. Con la pandemia è stata ufficialmente inaugurata l’era della cleptocrazia – la fusione fra determinati settori produttivi e le istituzioni, con la creazione di una casta di privilegiati, una super razza di “competenti” la quale, concedendo ancora le elezioni al popolo, finge maliziosamente di giocare a democrazia, consapevole che da ora in poi potrà permettersi qualsiasi arbitrio e abuso di potere. D’altronde, l’agenda del “Grande reset” non è altro che l’idea di un ridimensionamento demografico fondata sulle più misantrope teorie di darvinismo sociale in salsa post moderna ecologista e moralizzante, ma digeribile dal pubblico qualora espressa da una signora bionda di modi gentili, esile e carina.
25 Settembre 2022
Zory Petzova