Dell’amore è stato scritto più di ogni altro argomento, perfino più di quanto ne sia stato scritto di dio, arrivando spesso a equiparare i due concetti nella categoria assoluta di causa prima e ultima dell’essere. Ma mentre il dio, qualsiasi fosse la sua definizione, viene visto quasi sempre in prospettiva, come una specie di riserva misteriosa e provvidenziale da cui attingere in un momento spostato sempre più in là, l’amore viene cercato e inseguito in ogni istante e in ogni circostanza della nostra esistenza, più di qualsiasi altro valore al mondo: più della ricchezza, più della pietra filosofale, più di qualsiasi segreto esoterico o scoperta scientifica, più della stessa immortalità…
L’instancabile ricerca dell’amore fa parte dell’innata propensione dell’uomo di trascendere se stesso e ha una spiegazione razionale, perfino banale, nonostante gli stati amorosi siano spesso totalmente irrazionali. A causa della propria insufficienza innata, l’uomo è spinto a cercare sempre qualcosa oltre e qualcos’altro da sé, qualcosa che lo possa confortare nella solitudine esistenziale, ma oltre tutto qualcosa che lo porti fuori di sé, dandogli la consapevolezza che la sua singolarità non potrà mai esaurire la ricchezza del molteplice, e – allo stesso tempo – che solo attraverso la contaminazione con l’altro da sé sarà possibile comprendere e avvalorare quella stessa singolarità, come occasione unica e irripetibile nell’infinito divenire dell’essere.
Nessuno sarà mai in grado di dare un’unità di misura all’amore, di stabilire il confine fra illusione e realtà, fra luce e thanatos, fra corpo e anima, fra stato soggettivo e legge universale; ma oltre tutto nessuno saprà mai rispondere perché, essendo cosi indispensabile, l’amore sia cosi effimero e fugace, e perché è così inseguito, se poi la sua fine provoca sofferenza. Ma anche la sua mancanza fa soffrire, la mancanza dell’amore rende infelice oltre tutto chi ha vissuto la sua caducità. Purtroppo non tutti hanno conosciuto l’amore, specialmente quello erotico, e tanti invece l’hanno conosciuto soltanto come fonte di sofferenza allorché la loro tensione verso l’altro non è stata corrisposta. L’amore erotico rappresenta la più grande ingiustizia della vita verso gli esseri umani, perché, nonostante sia la fonte primaria di energia vitale e trasformativa, è molto scarso, accade raramente in modo reciproco e più delle volte è solo uno struggimento per un miraggio che non esiste. Ma per nostra consolazione, l’amore erotico, anche se l’unico che veramente conta – perché l’unico in grado di creare, non è la sola forma di amore. Districandosi fra Platone e Aristotele, possiamo individuare almeno sei forme di amore che nell’antica Grecia avevano pari opportunità di esistere e di far colmare il bisogno di completezza nell’essere umano.
L’amore per eccellenza è quello erotico, l’unico che ha come simbolo un dio in carne e ossa, ritenuto da Platone nella sua dimensione cosmica un principio primordiale assoluto – simbolo del fuoco, del desiderio cosmico, del caos creativo e della passione sessuale. Ma Eros per i greci non era un dio positivo: era pericoloso perché imprevedibile e irrazionale. L’eros è l’unica forma di amore che può prendere il totale controllo sulla vita, fino a sopprimere gli stessi istinti di sopravvivenza, anche negli animali, e non solo negli esseri umani, facendoli andare contro la propria natura, contro il proprio interesse di autoconservazione. Una volta provato, questo tipo di amore rende dipendenti, e proprio perché non esiste un mercato dove trovarlo, rappresenta la“merce” più preziosa al mondo, perseguibile con mille contraffazioni, ma mai raggiungibile per vie artificiali. La sua forza è talmente dominante da far percepire la realtà in modo totalmente illogico e folle, come un palcoscenico esclusivo ed estasiante fatto solo per gli innamorati, dove tutto il resto cessa di esistere; l’innamoramento fa percepire il tempo come sospeso nell’eternità. Alcuni studiosi descrivano questo stato come un’alterazione mentale dopo l’assunzione di un cocktail micidiale di ormoni e di sostanze chimiche, un mix narcotico, il quale, una volta azionata la reazione, esaurisce progressivamente i propri effetti. Con l’abbassamento del livello “narcotico” l’eros si ridimensiona e inizia a calare, fino ad esaurirsi del tutto nella sua esigenza di esclusività relazionale. Gli psicologi parlano di un periodo massimo di sette anni, partendo da un minimo di un anno, per quanto riguarda la durata delle relazioni fondate su questo tipo di amore. Perché l’eros, nello stesso modo in cui appare, a volte anche contro la stessa volontà dei soggetti “colpiti” dal suo fulmine, nello stesso incontrollabile modo scompare, nonostante lo si voglia perpetuare per sempre, lasciando spazio a una sensazione di estraneità e di incolmabile vuoto.
Il secondo tipo di amore è la Filia (Philia), l’amore della amicizia profonda, della simpatia e delle affinità; è l’amore più apprezzato dai greci. E’ il tipo d’amore che lega in particolar modo le persone che vivano in un gruppo dove condividano difficoltà e ostacoli e dove crescano attraverso il reciproco sostegno. Filia vuol dire lealtà verso gli amici e prontezza di mettere gli interessi degli altri prima dei propri, è l’antidoto all’egoismo. Oggi questo tipo di amore scarseggia per lo stesso motivo per cui scarseggiano le relazioni di vera amicizia e di coesione altruistica di gruppo. Oggi l’egocentrismo e la competitività sono la carta vincente della dimensione sociale, e l’amicizia si fonda sull’interesse di usare l’altro a proprio vantaggio, e non sulla gratuità dei gesti. Peccato, perché per gli antichi greci l’amicizia era sacra ed era uno dei pochi valori per cui valeva la pena di vivere.
Il terzo tipo di amore è il Ludus, una nozione latina che letteralmente significa gioco, ma attualmente è meglio rappresentata dal concetto di flirt. E’ il tipo di amore che nasce all’inizio di una relazione, ma Ludus può significare anche uno stato di euforia o di felicità senza causa, ossia- la ricerca dello stare bene come fine a se stesso. Il flirt è la verifica del proprio valore negli occhi degli altri, è legato al piacere di ricevere complimenti, solitamente gradito dalle donne, ma negli ultimi tempi – con la narcisizzazione degli uomini – gradito anche dal così chiamato sesso forte. Per gli uomini il flirt è la forma d’espressione più consueta della loro natura di cacciatori, ma oggi la caccia è praticata anche dalle donne. In ogni caso, per Aristotele gli uomini del Ludus erano egocentrici, collezionisti di brevi avventure, da evitare perché superficiali e poco seri. Nella società di oggi questo pregiudizio è stato superato, anzi- questa forma di amore a breve potrebbe diventare la forma prevalente, preferita a pari merito sia dagli uomini che dalle donne, tanto è che un noto psicologo italiano – Raffaele Morelli, aveva dedicato a questo tipo di amore un famoso saggio (“Il sesso è amore”), rendendolo assolutamente legittimo e dignitoso in ogni suo aspetto psicologico e sociale. In realtà il modello amoroso basato sul ludus viene promosso da psicologi e vari guru spirituali perché essi stessi ne traggono un profitto professionale: il valore dell’avventura, della seduzione veloce e del piacere centrato sulla novità è perfettamente allineato all’atteggiamento del consumatore seriale “usa e getta” che poi cerca di riempire il proprio vuoto con spiritualità e psicologia a buon mercato. Ma ci sarebbe anche un altro fattore molto importante che viene ommesso da psicologi e gurù nel rilevare la situazione: nella fase attuale di sviluppo sociale, in cui per complessi motivi socio-economici si registra un calo demografico, la dissociazione fra sesso e procreazione non è più un’eccezione ma la normalità delle relazioni amorose, e questo fa sì che il principio dominante che si instaura nei rapporti di coppia non è più la condivisione del piacere e dello stare bene insieme in funzione di una progettualità relazionale, ma la differenziazione narcisistica fra i soggetti che si fanno la gara per l’immediata soddisfazione del proprio ego a discapito dell’altro.
Il quarto tipo di amore è l’Agape (in latino Caritas), l’amore disinteressato e universale per gli esseri umani, e più propriamente l’amore dovuto all’empatia e alla compassione verso i più deboli. Gli antichi greci consideravano questo tipo di amore degno soltanto delle persone forti spiritualmente, dei nobili d’animo, quelli che hanno già acquisito un sistema di valori, un ordine interiore che disiderano espandere anche sugli altri attraverso la propria generosità. In effetti, da questo tipo di amore scaturiscano la gentilezza, l’essere cavalieri, l’altruismo, il senso d’onore, il coraggio, il senso di giustizia, la disponibilità verso gli altri. Purtroppo oggi questo tipo d’amore è quasi inesistente e al suo posto vi è soltanto una spudorata simulazione verbale, che fa passare per amore disinteressato qualcosa che spesso è il suo opposto, in totale incoerenza con le azioni e il comportamento di chi lo simula, cercando solo di ricevere approvazione sociale. Aristotele diceva che, nelle relazioni private, dell’agape ne erano capaci soltanto gli uomini nobili, pieni di attenzione verso la donna e capaci di corteggiarla in modo romantico e per lungo tempo, prima di dichiararle i propri sentimenti. Soltanto che oggi, nel nostro vivere accelerato, dove si è ossessionati del consumo compulsivo di ogni sorta di stimoli, questo tipo di amore è poco praticabile per il semplice motivo che tante donne perderebbero interesse, qualora dovessero aspettare a lungo una dichiarazione sentimentale. Ma l’impazienza femminile sarebbe un mal da poco se non si trattasse di un problema ben più diffuso: oggi c’è un appiattamento antropologico-culturale dei criteri di seduzione intellettuali e morali a vantaggio dei richiami puramente fisici, dove sulla paziente attesa dell’amato(a) vince l’effetto immediato dell’aspetto fisico e del sexappeal, uniformati ai modelli pubblicitari che definiscono se un maschio o una femmina siano avvincenti o meno, a prescindere dai loro sentimenti e il loro valore interiore.
Il quinto tipo di amore si chiama Pragma e come deducibile dalla stessa nozione è riferibile ai rapporti di coppia basati sulla reciproca convenienza, rapporti di chi predilige l’andar d’accordo, l’esercizio della pazienza e l’uso di compromessi volti a portare avanti un progetto di famiglia. Questa forma di amore paragonata agli altri non dovrebbe nemmeno chiamarsi tale, ma per Aristotele invece (essendo lui molto razionale), l’uomo in cui prevale la pragma è degno di considerazione, perché si tratta di quel tipo di uomini che nella relazione non cercano eros e passione, ma sicurezza e stabilità, e quindi scelgano una donna affidabile, con carattere compatibile a questa loro prerogativa. Questo tipo di uomini di solito tendono a essere monogami perché per natura non sono né passionali né romantici, e né amano fare delle sorprese; per loro il matrimonio deve essere come un affare che gli garantisce una vita tranquilla e ordinata, senza troppe emozioni e sconvolgimenti. Forse a sua insaputa, Aristotele si era fatto precursore anzi tempo della borghesia moderna, visto che il pragma è alla base dei matrimoni borghesi, in cui prevalgono l’interesse economico e la sicurezza patrimoniale, funzionali ad educare e a programmare gli eredi nella stessa direzione. Anche se oggi questo tipo di unione è di bassissima aspirazione emotiva, questo non significa che non venga praticato, anzi- pare la sua fattispecie sia in aumento, perché tante persone, benché giovani, cercano di sfuggire alle sofferenze sentimentali (al Pathos) che l’eros inevitabilmente comporta, optando per una gestione razionale delle relazioni basata su un bilanciamento fra situazioni socio-professionali e una certa comunanza di gusti; ma tuttavia, in quasi tutti i casi la mancanza di tormenti passionali ben presto lascia lo spazio alla noia e all’angoscia di invecchiare senza essere stati mai veramente felici. Anche se pragma è sinonimo di un matrimonio arido e mortificante, secondo le statistiche i matrimoni basati sulla stabilità economica sono quelli più resistenti e meno colpiti dai divorzi, il che non sorprende, in quanto l’essere umano è prevalentemente un homo economicus.
Il sesto e l’ultimo tipo di amore è la Filautia (Philautos), l’amore per se stessi, quello che è stato attribuito a Gesù dagli autori dei vangeli (allievi greci) nella famosa frase “ama il tuo prossimo come ami te stesso”, ma va subito chiarito che questo è l’amore più difficile da definire perché è un amore duplice, dove non sempre sia possibile porre un confine netto fra l’auto amore – nel senso di egoismo, orgoglio, presunzione, narcisismo -, e quel tipo di amore che invece è rispetto e autostima per se stessi, consapevolezza delle proprie qualità e in tal senso tende a rispettare e considerare alla stessa stregua anche gli altri. I greci ritenevano che chi ama se stesso ha da dare più amore anche agli altri. Ma sarebbe anche giusto dire che nel rapporto verso gli altri si riflette il rapporto che abbiamo con noi stessi. Ovviamente per filautia si intendeva anche la cura e la passione verso il proprio corpo, inteso dai greci come unione fra spirito e il piacere dei sensi, un elemento molto importante dell’educazione all’amore, perché non si può nemmeno pretendere che qualcun’altro ami il nostro corpo senza aver imparato ad amarlo noi per primi. Chi realmente ama se stesso (non nel senso egoistico) non si vanta mai delle proprie qualità, le lascia percepire dagli altri, senza ostentazione. Purtroppo spesso l’auto-amore si manifesta come prepotenza e competizione con gli altri, dal quale atteggiamento scaturiscano frustrazioni, odio, invidia – veleni tossici che nuocciano oltre tutto a chi li genera. Oggi per amare se stessi sarebbe sufficiente capire i propri limiti e le proprie debolezze umane e saperli accettare, essere indulgenti e non troppo severi con se stessi, non prendersi troppo sul serio, perché anche chi è troppo rigido moralmente e ambizioso di andare oltre i propri limiti pecca di egoismo e di presunzione, come ritenevano alcuni teologi cristiani del medioevo.
Gli antichi greci hanno lasciato davvero un’inestimabile eredità filosofica e poetica, arricchita da tutte queste definizioni dell’amore, le quali, anche se non esauriscono del tutto la sua molteplicità (bisogna aggiungervi almeno altre due o tre categorie), fanno capire come l’amore sia l’essenza della vita. Ma alla fine bisogna riconoscere che l’amore è un fenomeno del tutto anatomico, conseguenza di un processo chimico scaturito da una piccola ghiandola situata alla base del nostro cranio- l’ipofisi, e quindi totalmente dipendente nella sua quantità e qualità dal funzionamento di questo piccolo pezzettino di materia, da cui partono gli impulsi e gli stimoli che governano l’intero nostro sistema neuro-endocrino. L’amore è un fenomeno neuro-endocrino. L’ipofisi può essere colpita da alcune patologie che possono portare alla sua iperfunzione o ipofunzione. Nel caso di ipofunzione, i soggetti affetti non sono in grado di provare l’emozione dell’amore e la medicina farmacologica cerca di curare questo scompenso introducendo delle sostanze sintetiche per stimolare la ghiandola atrofizzata. Ma il vero pericolo verrebbe se un giorno la scienza medica decidesse di somministrare agli esseri umani delle sostanze che mirassero intenzionalmente alla soppressione dell’attività dell’ipofisi.
L’amore è la forza più grande al mondo, è l’unica in grado di contrastare l’omologazione annichilente della materia cosmica, perché l’unica che, procedendo per relazioni irrazionali, crea diversità e valorizza la singolarità di ogni essere vivente come esistenza unica e irripetibile nello spazio-tempo. Ma nell’uomo questa grande forza in realtà si regge su un funzionamento biochimico molto vulnerabile e delicato, e non è escluso che un giorno sarà la scienza transumana a decidere le sorti dell’amore, così come quelle di dio; la scienza, e non più la natura, come causa prima e ultima dell’essere.
Zory Petzova
14 Febbraio 2021