Il Parlamento italiano ha raggiunto uno scollamento dagli interessi della base elettorale senza precedenti, già solo per il fatto che in esso manca la rappresentanza di una bella quota della società civile, quella costituitasi come forza intransigente contro il “Green pass & company” e che potrebbe valere oltre il 20% dell’elettorato più attivo. Dei partiti insediati nel Parlamento il caso più manifesto di questo scollamento è senz’altro il Movimento 5 Stelle, il quale, al netto della sua spaccatura interna, ha virato a 180 gradi le proprie scelte legislative rispetto a ciò che erano i suoi principi, etica politica e programma elettorale. Ma non di meno in termini di tradimento elettorale è la Lega, che dovrebbe presentare gli interessi delle piccole e medie imprese e dei piccoli proprietari fondiari, mentre in pratica, oltre a sostenere Draghi, ha offerto copertura a una serie di iniziative come l’indebitamento col Recovery Fund, l’istituzione del Green pass e la revisione delle stime catastali – misure che nel loro complesso comportano limitazione della libertà economica, recessione, disoccupazione e aumento dei carichi fiscali. Nei giorni scorsi la Lega, insieme a Forza Italia, ha partecipato con entusiasmo alla rielezione del presidente Mattarella, cioè proprio di colui che un anno fa aveva impedito con il pretesto della pandemia quelle elezioni anticipate che avrebbero consentito al centro-destra di andare al governo.
Questo suicidio elettorale, mentre è spiegabile in parte per la Lega, è inspiegabile per il M5S, che alle prossime elezioni sarà votato principalmente dai titolari del Reddito di cittadinanza, e nemmeno dalla totalità di essi. Per la Lega, invece, la merce di scambio per questo auto-lesionismo elettorale è il calcolato beneficio della cosiddetta Autonomia differenziata, cioè la possibilità per le Regioni di trattenere per sé i proventi del fisco, il che per le Regioni che producono la maggior parte del PIL (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) sarebbe un ottimo affare. Il fatto che l’Emilia Romagna sia amministrata dal PD è la prova che l’obbiettivo dell’autonomia differenziata è trasversale agli schieramenti politico-parlamentari. E’ stato proprio Stefano Bonaccini quello più irritato dall’eventualità che lo scontro per il Quirinale faccia cadere il governo e blocchi la legge di bilancio. Agli inizi di gennaio la ministra Gelmini ha dovuto rassicurare queste tre Regioni, promettendo una legge-quadro sull’autonomia differenziata.
Questo nuovo assetto non cambierà nulla per le Regioni del Sud storicamente e strutturalmente sotto-finanziate, visto che anche i fondi europei ufficialmente stanziati vengono tenuti congelati. Ma il punto è che non cambierà molto neppure per i contribuenti del Nord, che dall’autonomia differenziata non otterrebbero alcuna diminuzione dei carichi fiscali, ma solo un aumento della disponibilità finanziaria dei loro amministratori. In altri termini, i contribuenti del Nord vedrebbero sacrificati i propri interessi per consentire che le cosche d’affari di Fontana, Zaia e Bonaccini possano gestire più soldi. Sarebbe da ingenui credere che l’avanzo di denaro andrà investito sul territorio. Come già evidente da diversi segnali, esso sarà investito in aumento di stipendi e nel potenziamento della burocrazia amministrativa locale, non meno invasiva di quella statale. Ma l’altra novità è che, attraverso la legge di bilancio, per le Regioni si apre anche la possibilità della regionalizzazione dell’Istruzione pubblica – un altro desiderio trasversale sia alla Lega che al PD.
Tuttavia, la rielezione di Sergio Mattarella supera le ordinarie strategie economico-fiscali, in quanto comporta la sostanziale alterazione del quadro istituzionale e il procedere verso un territorio del tutto inesplorato. Chi crede che la rielezione di Mattarella sia stata un ripiego della mancanza di altre figure di rango altrettanto elevato, evidentemente non ne considera le premesse, e ancora meno le conseguenze. Gli attuali poteri di Mattarella non trovano precedenti nella storia dell’Italia unitaria. Solo durante il fascismo ci è stata di fatto una simile diarchia tra il re e il duce, come quella attuale fra Mattarella e Draghi, che lo stile politicamente corretto del mainstream definisce “stabilità” . Oggi il Presidente della Repubblica può scegliersi il governo e ricattare il Parlamento con il diritto di sciogliere o meno le Camere, oltre a investire la funzione di eleggere i giudici costituzionali e presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio Superiore di Difesa. Tutto ciò per un settennato e senza essere direttamente eletto dal popolo – qualcosa che non ha riscontro in altri ordinamenti democratici. Ora Mattarella dovrebbe rispettare anche un altro patto, oltre a sostenere l’autonomia differenziata – quello di non sciogliere anticipatamente le Camere, nonostante l’enorme crisi rappresentativa del Parlamento, il che a sua volta fa sì che i deputati votassero a comando, secondo la volontà di Draghi, anche perchè un terzo di loro matematicamente non troverà più la propria poltrona alle prossime elezioni.
Mentre il patto con le forze politiche è stato stabilito in modo circostanziale, il vero motivo per cui Mattarella è stato rieletto è che per decenni ha contribuito ad allestire una solida rete di potere para-politico. Si tratta del suo impegno per i servizi segreti, ai quali nel 1999 ha regalato, nell’investitura di Ministro della Difesa, una legislazione che istituisce agenti segreti a vita e assicura la loro piena immunità legale. Bisogna considerare che poche emergenze come la Pandemia abbiano implicato le competenze dei servizi segreti, qualsiasi cosa questo vorrebbe dire. Nel suo primo settennato Mattarella ha anche stabilito un precedente, imponendo il suo personale “gradimento” politico sulle candidature alle rispettive cariche di ministro, sabotando la solidissima candidatura di Paolo Savona, per cui si è meritato l’accusa di impeachment da parte di un di Maio di altri tempi, nonché l’avversione di Salvini e Meloni, ma la sua immediata riabilitazione d’immagine è stata al contempo un chiaro segnale che da quel momento in poi sarà il Presidente della Repubblica a stabilire la politica del governo.
I giornalisti adulatori che si affrettavano a celebrare l’ascesa di Draghi al Colle sono apparsi patetici e spiazzati, dovendo aggiustare in meno di 24 ore le proprie tesi. Evidentemente i superpoteri del Colle erano tali proprio perché chi già li gestiva non avrebbe dovuto cederli ad altri. Infatti, per gli osservatori più attenti era chiaro fin dall’inizio che il principale avversario di Draghi per la sua ascesa al Colle (profondamente desiderata da lui stesso) sarebbe stato non altro ma lo stesso Mattarella. Per questo motivo appare poco realistica l’ipotesi che Mattarella stia preparando le condizioni per dimettersi e far subentrare Draghi. Una voce del genere sembra fatta apposta per tenere buono Draghi prima di liquidarlo definitivamente, scaricando su di lui il malcontento popolare per il disfacimento socio-economico del paese. Mattarella è indispensabile alla carica di PdR anche in vista dell’imminente scontro fra la Nato e la Russia, avendo già gestito da ministro “le missioni di pace” dell’esercito italiano nella ex Jugoslavia.
La mancata elezione di Draghi non è certo una smentita del fatto che sono i Mercati a decidere le politiche in Italia, ma semmai ne aggiunge un’ulteriore prospettiva. Benché l’Italia sia una colonia atlantista e il Presidente della Repubblica il principale agente coloniale, l’imperialismo non è mai a senso unico e non esclude che le oligarchie italiane possano gestire i propri affari e perseguire ambizioni di un rango superiore di potere internazionale. Per ironia della sorte, i Fratelli d’Italia sembrano gli unici ad aver protestato contro il consolidamento dei poteri di Mattarella, proprio loro che secondo la vulgata dovrebbero essere nostalgici di una certa dittatura del passato. Peccato che quello della Meloni, che certo non doveva essere all’oscuro del patto per l’Autonomia differenziata, è stato solo il recitare della parte della tradita dagli alleati, sperando in questo modo di ereditare i voti della Lega. La leader di FdI non si è mai espressa in modo chiaro contro il Green pass e l’assurdità delle ultime restrizioni, e ancora meno ha seguito l’esempio di Trump che moralmente ha sostenuto l’azione Freedom Convoy dei camionisti canadesi. Questo significa che le forze che dovranno rovesciare il vergognoso primato della dittatura italiana dovranno essere del tutto extra parlamentari e dovranno seguire l’esempio dato dai canadesi, dove sembra che, dopo il ferrato assedio del Parlamento canadese dai camionisti e la codarda fuga di Trudeau, una parte delle forze dell’ordine stia passando dalla parte del robusto contingente della Rivoluzione popolare.
05 Febbraio 2022
Zory Petzova