Attualmente la temperatura del mondo si trova vicino al punto di ebollizione non solo per ragioni meteorologiche. Il conflitto sul territorio ucraino, che è solo l’ouverture di un conflitto più vasto, cambierà la storia in modo molto più radicale della Seconda Guerra Mondiale e di tutti i cataclismi succedutesi negli ultimi decenni. In un periodo di disconforto globale, che non lascerà intatto alcun luogo, per ogni singolo paese diventa urgente poter prendere le decisioni e le misure adatte alla propria sopravvivenza. In altre parole, diventa di vitale importanza che tipo di governo e di classe dirigente investono la guida politico-economica del paese e su quali alleanze simmetriche esso può contare.
In base alla loro morfologia sociale, nonché temperamento e grado di sopportazione di condizioni estreme, i paesi si comporteranno diversamente: alcuni subiranno solo la crisi economica (recessione, inflazione, disoccupazione, razionamento di viveri), altri subiranno degli sconvolgimenti ben più profondi, fra cui sovvertimento degli assetti sociali e nuove configurazioni dei rapporti di forza, mentre per un terzo gruppo di paesi si verificheranno vere e proprie catastrofi dovute a carestie alimentari e squilibri demografici. Alcuni paesi, che hanno una statalità debole, cioè uno statuto di semi-sovranità, con governi di basso consenso elettorale e politiche impopolari (come alcuni paesi dei Balcani), potrebbero essere assorbiti nell’orbita degli Stati adiacenti e sparire dalla carta geografica. Ma potrebbero sparire dalla mappa anche paesi troppo ambiziosi militarmente rispetto alle proprie possibilità: d’altronde, questo è accaduto alla imperiale Polonia a cavallo del Ottocento, quando per alcuni decenni è stata cancellata come Stato perché divisa fra la Prussia, la Russia e l’Austro-Ungaria.
Nell’esame storico delle relazioni USA – Russia, che hanno caratterizzato l’ultimo secolo, si parla spesso di guerra ibrida, che è economica, tecnologica, culturale, ma in realtà questo è uno scontro fra civiltà. E quando lo scontro fra civiltà assume forme apertamente belliche, diventa superfluo prognosticare quando finirà la guerra in Ukraina e quando si tornerà alla normalità. Il vecchio mondo del Sacro Occidente, a cui per necessità siamo degli adepti, non tornerà mai come prima, e non solo per una questione di materialismo storico. L’Occidente collasserà sulle sue proprie menzogne, sulle infinite manipolazioni che sono l’unica sua ragion d’essere, perché lo stesso business è fondato su falsi bisogni, false minacce e falsa pubblicità. Negli sconvolgimenti sociali moriranno narrazioni e concetti sterili, si sgonfieranno bolle mediatiche, oltre a quelle finanziarie. Tramonterà il falso concetto di democrazia – un puro eufemismo, dietro cui agisce l’affarismo delle oligarchie, delle Borse e la loro sinergia con i media che muovano i capitali, inducendo determinati comportamenti negli individui. Individui che l’élite vede qualora come consumatori addomesticati qualora come inutili mangiatori, a secondo della convenienza. Anche perché il Sacro Occidente non conosce il senso della misura: così come spinge il singolo al consumismo e alla ricerca del superfluo, da un giorno all’altro è capace di tagliargli l’energia, l’acqua e persino l’aria nel nome dell’etica del razionamento.
In un momento così critico, l’Italia si trova con un governo di unità nazionale (il che suona perfino rassicurante), il cui capo però vuole dimettersi, tanto che il governo è stato paragonato alla Costa Concordia, e Draghi – al capitano Schettino che cercò di abbandonare la nave prima dei malcapitati passeggeri, giustamente per salvarsi, anche se richiamato dalla Capitaneria di porto a riprendere il comando della nave. Benché sia normale chiedersi come farà un paese ad affrontare una crisi epocale con un capitano che abdica, allo stessi tempo è giusto comprendere anche le motivazioni del capitano. Draghi è importante per l’ambiziosa oligarchia italica come corrispettivo del vincolo esterno in termini di autorevolezza e di competenza: il banchiere è una eccellenza tecnocratica fondante del successo dell’euro e senza lui Italia non potrà mai essere presa sul serio dai grandi capitali e dagli alleati. Ma in realtà, nel ruolo di primo ministro Draghi non appare in veste autorevole, bensi come un cameriere che deve subire umiliazioni in virtù della colonia che rappresenta. Non è nemmeno certo che Draghi abbia accettato di propria volontà l’incarico di primo ministro, sembra piuttosto inciampato nella trappola della promessa che in questo modo si sarebbe meritato l’elezione al Quirinale, il che si è rivelato una beffa. Oltre alle repentine cadute di stile, cristallizzate in frasi infelici e comicizzate dai social, Draghi ha collezionato una serie di umiliazioni internazionali, a partire dalle virili irriverenze di Zelensky nei suoi confronti all’inizio del conflitto, a cui si sono aggiunte le esuberanze belligeranti di Johnson, in particolar modo quella dopo la visita dei “tre moschettieri” a Kiev il 15 giugno. Il 25 giugno, invece, quando Draghi ha cercato di suggerire ai partner europei, su richiesta degli industriali italiani, un tetto al prezzo del gas, è stato liquidato con il classico “poi vedremo”, riservato ai postulanti. Il massimo dell’umiliazione, però, è stato raggiunto pochi giorni fa, quando Draghi ha dovuto inchinarsi perfino ad Erdogan, che aveva chiamato “dittatore” esattamente un anno fa. Inchinarsi perché l’Italia, dopo essersi consolidata come colonia degli USA e della Francia, ora si avvia a diventare anche una colonia turca, visto che i flussi di petrolio dalla Libia dipendono dal benestare di Erdogan.
Non dovrebbe essere stato facile inghiottire anche il tradimento fatto agli alleati curdi, consegnati ad Ergogan nel nome della rimozione del veto turco sull’entrata di Svezia e Finlandia alla NATO, le quali de facto erano già sue partner partecipi a una serie di collaborazioni ed esercitazioni, a meno che Draghi non nutrisse alcuna sensibilità per i curdi e quindi alcun senso di vergogna. Altrimenti, perché dare le dimissioni se si ha il consenso della maggioranza assoluta del Parlamento? E se si ha un programma di riforme inderogabili, programma a cui sembra Draghi tenesse particolarmente. E’ curioso constatare come l’uomo ritenuto così potente e incontrastabile, largamente approvato da tutto l’establishment, e anche dai sindacati e dai comuni mortali, allo stesso tempo appare fragile e insofferente. Si potrebbe pensare che Draghi stia preparando la propria fuga verso nomine più prestigiose, come la direzione della NATO, ma non ci sono prospettive di serenità nemmeno in quel campo, in quanto la NATO si sta sfaldando in altre formazioni più funzionali, a guida britannica e/o polacca, fra cui il forum Nuovo intermarium (Tre mari) ha anche funzione di cooperazione economica fra i 12 paesi che unisce, quindi potrà sovrapporsi alla UE.
Non passerà tanto tempo prima che Draghi e i suoi colleghi dovranno riconoscere che gli interessi dell’asse anglo-sassone con l’appendice polacca non coincidono con gli interessi dell’asse franco-tedesca, verso cui gravita anche l’Italia. La dilatazione della NATO ha senso in una logica di business, ma non ha una logica strategica, in quanto porta allo squilibrio i rapporti tra gli Stati membri. I paesi di frontiera della NATO attuale assumono un ruolo ed un protagonismo che li avvantaggia rispetto ai paesi che detenevano la posizione di frontiera durante la Guerra fredda. È già in vista la destabilizzazione fra la Germania e la Polonia. Mentre la Polonia si è sovraesposta negli aiuti all’Ukraina, assorbendo anche la sua fuga demografica, il Berlino ha sospeso l’invio di mezzi blindati e di finanziamenti che aveva promesso a Kiev. Inoltre, più del 60% dei tedeschi dell’ex Germania dell’Est approvano le ragioni della Russia come parte del conflitto. È posdibile che il cospicuo riarmo tedesco non sarà rivolto come avvertimento alla Russia, bensì alle velleità geopolitiche polacche. Nel caos e nei tentativi di sopravvivenza, con il residio di sovranità i governi più forti prenderanno delle decisioni perentorie ed inaspettate. In modo cinico, alcuni analisti scommettono già sul termine minimo del crollo della UE, ma con l’autorevolezza di Draghi alla guida della NATO potrebbe succedere che la prima ad affondare fosse proprio la NATO.
18 Luglio 2022
Zory Petzova