I negoziati di pace di Istanbul, svoltisi a fine marzo, sono stati un significativo gesto di reverenza da parte dei russi verso il loro partner Erdogan, con cui la Turchia è stata ufficialmente confermata come la prima potenza regionale. La Turchia ha tutti i motivi per essere effettivamente parte neutra nel conflitto Ukraina (NATO) – Russia, e perfino per provare un coinvolgimento empatico sia nei confronti della Russia che verso il malcapitato popolo ucraino.
Va ricordato il fatto che la Turchia è stata uno dei primi paesi lesi dall’espansionismo americano nel Mediterraneo. Quello di posizionarsi nel Mar Nero in modalità anti-russa, per gli USA è un obbiettivo perseguito ancora ai tempi della Guerra fredda, e uno dei primi tentativi è stato quello di occupare militarmente la parte nord di Cipro, e quindi il Mediterraneo orientale, altrettanto importante per tenere sotto scacco Mosca. A quei tempi Cipro è sotto la giurisdizione della Grecia e, guarda caso, il tentativo di occupazione americana si svolge proprio durante il governo della giunta greca “che si era impadronita del potere con un colpo di Stato militare nel 1967, sostenuto dalla CIA e dagli Stati Uniti” (Wikipedia). A questo punto la Turchia, preoccupata di perdere il proprio interesse geopolitico, chiede il nulla osta all’URSS per invadere l’isola, occupandone la parte nord: un’azione con cui si conquista la condanna da parte della comunità occidentale, similmente come accade alla Russia dopo la riannessione della Crimea nel 2014.
E’ importante ricordare questo episodio sia per le similitudini fra il Cipro e la Crimea, indicative di come gli USA applicano sempre lo stesso format – il golpe di Stato, per insediarsi in territori strategici, sia perché spiega l’atteggiamento riguardoso della diplomazia turca nei confronti di Putin. Per esperienza storica, la Turchia si identifica e comprende le esigenze di sicurezza strategica della Russia, anche se questa empatia non è nuova: Ankara e Mosca condividono una buona tradizione diplomatica di reciproco sostegno a partire dai tempi di Lenin e Stalin, di cui va ricordato come durante la Seconda Guerra mondiale è stata la Turchia a negare a Hitler il passaggio attraverso il Caucaso, con cui salva strategicamente l’URSS dalla fatalità dell’invasione nazista. Dall’altra parte, la Turchia si sente solidale con l’Ukraina, perché sa che quest’ultima è stata usata dalla NATO con la stessa funzione, come una specie di “esecutore del lavoro sporco”, che è stata riservata anche al suo esercito.
La Turchia ha un peso decisivo nella NATO, tanto è che non potrebbe esserci alcun scontro fra la NATO e la Russia senza la partecipazione dell’esercito turco. Oggi però la diplomazia turca, a differenza di quella ucraina, mostra moderazione e saggezza, in quanto, fra l’ipotesi di diventare la mano operativa degli USA, ossia prestare la propria popolazione come carne da macello in un conflitto diretto con la Russia, e quella di mantenere la consuetudine diplomatica con Mosca, sceglierebbe senz’altro la seconda opzione e al massimo si presterebbe come mediatore di pace. Ma questo vale per la Turchia di Erdogan. Perché se il golpe militare dell’estate 2016 contro Erdogan – messo in atto da un militare turco esule negli USA e amico di Obama – fosse andato a buon fine, oggi la Turchia sarebbe stata praticamente la replica del Majdan di Kiev in chiave revanscista per la perdita di Crimea, con cui si sarebbe cercato di costruire un governo turco di rottura, fortemente anti-russo, e quindi preliminare all’occupazione del Bosforo e di Cipro dagli USA.
Tali dinamiche fanno capire che se il cerchio di Zelensky vorrà salvare il proprio paese, dovrà prendere esempio da Erdogan, che si è rivelato garante di pace in quanto sovrano e indipendente dai giochi sporchi e le pressioni americane, portando avanti la missione storica di rendere la Turchia un soggetto della geopolitica, e non un oggetto d’interesse altrui. Se fosse stato autonomo, Zelensky avrebbe potuto richiamarsi anche alla lezione di Kissinger, secondo cui l’Occidente doveva capire l’importanza di Ukraina per la Russia, e l’Ukraina, a volta sua, avrebbe dovuto rimanere neutra, se voleva sopravvivere e prosperare, prendendo esempio da Finlandia, quindi cercando cooperazione con l’Occidente, ma senza confrontarsi o esporre a pericoli la Russia. Ancora nel 2014 Kissinger aveva riconosciuto l’importanza strategica di Crimea per la Russia e notava che perfino i dissidenti come Solgenitsin e Brodsky considerassero l’Ukraina parte inseparabile della Russia.
Oggi il dilettantismo del regime di Kiev potrebbe essere giustificato solo dal fatto della brevissima storia dell’indipendenza dello Stato ucraino (poco più di 30 anni), per cui i suoi leader non hanno imparato ancora l’arte del compromesso, e questo traspare chiaramente dai loro deliri d’onnipotenza e dalla confusione discorsiva, fermo restando che sul governo ucraino agiscono almeno tre tipi di forze – pro-russa, ultra-nazionalista (in relazioni di clientelismo con gli anglo-sassoni) e pro-europea, ma Zelensky è preoccupato che se dovesse mostrarsi troppo docile e remissivo con i russi, saranno proprio gli estremisti nazionalisti (Pravyj sector) ad eliminarlo; d’altronde, è già accaduto a uno dei mediatori, subito dopo il primo round di negoziati, ucciso perché mostratosi accondiscendente con la delegazione russa. A questo punto i negoziati di pace non sono che una mera formalità diplomatica; in pratica, sono una pausa di riassestamento in vista delle successive mobilitazioni delle forze militari.
Fonti istituzionali fanno capire, infatti, che i russi stanno concentrando le loro truppe in Donbass, la cui piena liberazione rimane priorità assoluta, e quindi sarà allentata la pressione su Kiev, dove invece sono concentrate le massime difese dell’esercito ucraino. In questi giorni viene osservata dai satelliti concentrazione di tecnica ultra moderna nella regione russa di Kursk, sulla rotta principale verso Harkiv, e ci sono anche voci che la Russia stia preparando un referendum di autonomia anche per la regione di Herson, che potrebbe essere la terza Repubblica separatista, il che garantirebbe la sicurezza di Crimea dall’ovest. Il sogno proibito di Hillary Clinton e i strateghi americani di “afganizzazione” del conflitto in Ukraina non avrà luogo, in quanto è sufficiente guardare la mappa geografica per capire che per i russi è inutile occupare tutta l’Ukraina, dal momento che possono minacciarne la capitale, partendo dalla vicinissima Bielorussia, alleata del Cremlino, così come potrebbe essere risparmiata anche l’occupazione di Odessa, lasciando il suo prezioso porto commerciale all’Ukraina, ma tenendolo sotto controllo. La Russia dovrà usufruire della vulnerabilità dei punti strategici del territorio ucraino, e non della sua occupazione, visto che nel secondo caso dovrà sostenere dei costi che non può permettersi.
Per quanto riguarda l’Italia, la decisione di portare la spesa militare al 2% del PIL è stata già presa nel 2014 e la crisi in Ukraina ha offerto solo l’occasione per legittimarla in Parlamento. Questo renderà molto più attivo il lobbying dei produttori d’armi italiani, che non ricordano un periodo così proficuo per i loro affari sulle spese dello Stato, perché quando il cliente è lo Stato i profitti sono assicurati, così come ne è assicurata la servitù militare del paese nei confronti degli USA, dovendo acquistare i costosissimi F-35 in grado di trasportare bombe nucleari all’idrogeno, indicate come “tattiche”. Questo spiega perché i veri ‘pacifisti’, come quelli del PD , insistano per l’aumento della spesa militare. Anche se le armi “tattiche” in dotazione di certo non serviranno per affrontare la nuova guerra economica e finanziaria all’orizzonte.
Forse il fronte economico sarà la vera battaglia non solo fra l’Occidente e la Russia. L’economia tedesca è quella trainante per l’euro e per l’intera UE, ma è anche quella più dipendente dall’import energetico russo, seguita da Italia: entrambe economie di vocazione industriale, quindi energeticamente dispendiose, e di export verso la Russia. E se la richiesta di Mosca di pagare le forniture di gas e petrolio in rubli non verrà corrisposta, come sembra dagli accordi fra Draghi e Scholz, questo vuol dire che entrambe le economie rischiano la cessione delle forniture e il crollo degli interi sistemi produttivi, il che causerà l’effetto domino e il crollo di tutta l’impalcatura burocratica dell’UE.
Tanti si chiedono, perché Italia e Germania, invece di seguire i propri interessi, stanno facendo scelte così scellerate, come se fossero in totale balia degli anglosassoni? Se da una parte entrambi i paesi sono in ostaggio di governanti traditori, dall’altra parte solo una crisi insanabile potrà portare alla frammentazione dell’UE, da dove nasceranno nuovi schiarimenti e contese, nuovi soggetti e nuovi ponti, che sicuramente non avranno la natura forzata e patologica di quelli attuali. Tutti i passaggi globali verso nuove configurazioni geopolitiche, dove una egemonia tramonta per cedere il posto ad altre, sono stati destabilizzanti e dolorosi, per cui questo attuale non farà eccezione. L’unica soluzione sarebbe riuscire a usare ogni residuo di intelligenza collettiva per limitare i danni dello spostamento tettonico, prendendo consapevolezza che il cambiamento in corso è epocale ed incontrovertibile.
03 Aprile 2022
Zory Petzova